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Come e perché lo shale gas eccita le aziende asiatiche

L’industria del gas naturale liquefatto (LNG) sta subendo la riluttanza dei compratori asiatici a firmare contratti a lungo termine. Le ragioni, scrive il Financial Times, sono la promessa dello shale gas del America settentrionale e l’ipotesi di una fonte energetica alternativa a costi minori.

I progetti per lo sfruttamento del gas naturale in Canada e Africa stanno accusando il colpo. Il rischio è una carenza nelle riserve con conseguente aumento dei prezzi. “Molti progetti sono ancora fermi perché mancano clienti a lungo termine. Il rischio è che non vengano mai costruiti”, spiega Philippe Sauquet della Total al quotidiano della City.

Al contrario i clienti asiatici mostrano un sempre maggiore interesse nelle potenzialità dell’export dei gas di argille. Alcuni Paesi, come la Cina, stanno inoltre attrezzandosi in questo settore. Lo scorso settembre la Shaanxi Yanchang Petroleum ha finalizzato l’acquisto della canadese Novus Energy. Per la società cinese vuol dire l’accesso a metodi più sofisticati di estrazione e a tecniche di frantumazione idraulica e perforazione verticale, con l’obiettivo di acquisire capacità tali da produrre tanto gas intrappolato nelle formazioni rocciose quanto ne vorrebbe, scriveva all’epoca l’agenzia d’intelligence privata Stratfor.

A catturare l’interesse dei compratori asiatici sono inoltre i prezzi al ribasso dello shale gas americano alla borsa Henry Hub. Come spiega Gavin Thompson della società di consulenza Wood Mackenzie, un Paese come il Giappone, ad esempio, ritiene i prezzi dell’LNG troppo alti e si sta muovendo per calmierarli, favorendo la concorrenza tra i fornitori.

La domanda di gas naturale liquefatto è raddoppiata dal 2000 e lo stesso dovrebbe succedere entro i prossimi dodici anni. La stampa australiana riprende le previsioni di Wood Mackenzie sui rigidi inverni nella Cina settentrionale che potrebbero portare a un aumento della domanda stagionale che la produzione locale non dovrebbe riuscire a soddisfare, favorendo le esportazioni dell’Australia.

Come scrive Stephen Bartholomeusz su Business Spectator, guardando all’ipotesi di aumenti dei prezzi, i contratti pensati su un arco temporale di 20 anni tengono per forza già a mente i cambiamenti dei prezzi e dell’ammontare delle forniture negli anni a venire.

Considerata la scala e l’arco temporale dei progetti in campo, questi dovrebbero essere abbastanza robusti per resistere sia ad aumenti delle forniture di gas dagli Usa o di petrolio dal Medio Oriente, ad esempio quando si sbloccheranno quelle irachene o se verranno meno le sanzioni contro l’Iran; sia a cambiamenti nel meccanismo di gestione dei prezzi come richiesto da Giappone e India.



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