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L’imbroglio del Mattarellum

Si fa presto a dire, anche se a farlo è il presidente della Repubblica, che dopo la bocciatura del premio di maggioranza e delle liste bloccate da parte della Corte Costituzionale occorre “ribadire il superamento del sistema proporzionale già sancito dal 1993”, con un referendum promosso dai radicali e da Mario Segni. Occorre cioè evitare, con opportuni interventi legislativi, che le parti della legge elettorale appena bocciate dalla Corte producano un ritorno al sistema proporzionale “superato”, appunto, con il responso referendario di vent’anni fa.

SCALFARO DIETRO AL MATTARELLUM
Come tutti i nodi, anche gli imbrogli vengono al pettine. E tale fu sostanzialmente – un imbroglio – ciò che fu fatto in Parlamento l’anno dopo quel referendum, con la legge elettorale chiamata Mattarellum dal nome del suo relatore alla Camera, oggi giudice costituzionale Sergio Mattarella. Una legge fortemente e affrettatamente voluta, dietro le quinte, dall’allora presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro.
In particolare, Scalfaro smaniava di scogliere le Camere elette nel 1992, che pure a loro volta lo avevano mandato al Quirinale, ritenendole scadute politicamente e persino moralmente, a dispetto della loro legittimità formale. La sua convinzione si basava sulle mutilazioni apportate con il referendum al sistema elettorale che le aveva prodotte e sulla valanga di avvisi di garanzia, richieste di autorizzazioni a procedere e persino di arresti che arrivavano a Montecitorio e a Palazzo Madama dai magistrati impegnati nelle indagini su finanziamento illegale dei partiti, corruzione e concussione.

COSA SI E’ DIMENTICATO
Allo scioglimento si arrivò non appena fu approvata la nuova legge elettorale, nonostante il governo allora in carica, guidato da Carlo Azeglio Ciampi, fosse provvisto ancora di una maggioranza parlamentare. Della quale lo stesso Ciampi, sempre su sollecitazione di Scalfaro, rifiutò una verifica formale, per quanto fosse stata chiesta dai presidenti dei gruppi parlamentari più numerosi: quelli della Dc.
Pur di liberarsi di un Parlamento avvertito come scomodo e delegittimato, si volle dimenticare che il referendum elettorale del 1993 aveva riguardato solo la legge che disciplinava l’elezione del Senato, non quella riguardante la Camera. Che avrebbe potuto pertanto rimanere invariata. Ma si pretese di estendere la volontà o “spirito” referendario degli elettori anche all’assemblea di Montecitorio.
Si sostenne che diversamente ne sarebbe derivata una ingovernabilità generale, con maggioranze difformi fra Camera e Senato. Una obbiezione della quale si potrebbe ben ridere, vista la disparità di maggioranze fra Camera e Senato prodotte poi con la legge del 2005. Che pure fu concepita per essere ancora più maggioritaria di quella di Mattarella nel 1993.

LA PORCATA DEL 2005
La legge del 2005, approvata su iniziativa del centrodestra, eliminò la quota proporzionale del 25 per cento dei seggi parlamentari salvata da quella precedente. E stabilì, senza neppure fissare una soglia minima di voti per accedervi, un premio di maggioranza che appunto la rendeva anche nel nome ancora più maggioritaria dell’altra. Ma persino il suo maggiore estensore, l’allora ministro leghista Roberto Calderoli, fu costretto a definirla “porcata” quando il presidente della Repubblica in carica in quel momento, Ciampi, volle metterci le mani. E ne impose la modifica, con il consenso dell’opposizione di sinistra, per distinguere il premio alla Camera da quello al Senato: da assegnare a livello nazionale il primo e a livello regionale l’altro a causa della “base regionale”, appunto, conferita all’elezione dell’assemblea di Palazzo Madama dall’articolo 57 della Costituzione.

LO ZAMPINO DI BERLUSCONI
Con un altro gigantesco imbroglio politico e mediatico, la disarticolazione parlamentare dei premi di maggioranza fu poi attribuita ad una perversa fantasia o volontà del presidente uscente del Consiglio dei Ministri, Silvio Berlusconi. La volontà, in particolare, di boicottare la prevedibile vittoria di Romano Prodi nelle ormai vicinissime elezioni ordinarie del 2006. Ma tanto era prevedibile quella vittoria che, prima ancora di mancare praticamente a Palazzo Madama, dove il secondo ed ultimo governo Prodi si resse per un po’ sulle stampelle dei senatori a vita, essa risultò conseguita alla Camera con lo scarto di poche e contestate decine di migliaia di voti.



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