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Come fare per non morire di austerità

La più difficile sfida di fronte a noi è quella di trasformare il principio etico del valore e della centralità del lavoro e della persona in una strategia operativa immediata. Altrimenti le previsioni catastrofiche che i sindacati e le varie associazioni di categoria continuano a sfornare non lasciano scampo.

DISOCCUPAZIONE, POVERTÀ, CARICO FISCALE

Dopo l’aumento della disoccupazione, in particolare quella giovanile (15-24 anni) al 41,2%, la Confcommercio denuncia il crollo del reddito procapite al livello del 1986, mentre la pressione fiscale del 44,3% rimane ai livelli più alti in Europa. Inevitabilmente l’aumento della precarietà e della povertà si traduce in una drastica diminuzione dei consumi che, dopo il crollo del 4,2% registrato nel 2012, sarà del 2,4% nel 2013.
Certamente il carico fiscale è troppo elevato e una detassazione sul lavoro è più che mai necessaria. Quel che è più grave, però, è l’assenza di un’idea, di un progetto del «sistema Italia».
Che il consumo possa essere la molla della ripresa economica è parzialmente vero. Ma non è automatico. Gli automatismi non sempre funzionano. Lo si è visto nel settore del credito. L’abbassamento fino a zero del tasso di sconto attuato dalla Bce non ha portato a nuovi crediti per gli investimenti, per le imprese e per le famiglie. La detassazione sul lavoro, invece, comporterebbe un aumento dei salari e delle pensioni delle fasce più deboli e sarebbe destinato ai consumi.

SU COSA PUNTARE

Il primo cambiamento paradigmatico dovrebbe essere quello di puntare sullo sviluppo invece che sulla crescita lineare. Quando si parla di crescita ci si riferisce sempre ad un aumento numerico delle cose prodotte, non importa quali purché abbiano un effetto positivo sul prodotto interno lordo. Lo sviluppo invece, inglobando anche la crescita, coinvolge risorse, persone, territori, popolazioni, educazione, cultura e si proietta sul lungo periodo per differenti generazioni.
In quest’ottica la messa in sicurezza e la valorizzazione del territorio e del vasto patrimonio culturale assumono un carattere prioritario. Senz’altro positivo è l’intervento, seppur limitato finanziariamente, finalizzato alla ristrutturazione e all’efficienza energetica del patrimonio immobiliare. I sindacati ritengono che esso creerebbe 600 mila posti di lavoro a fronte di un investimento di 7 miliardi di euro.

DA NON DIMENTICARE

È bene ricordare che molte nostre pmi, pur in questo periodo di crisi, hanno saputo mantenere e sviluppare quote di mercato nel difficile settore dell’alta tecnologia. Perciò bisogna sostenere la loro modernizzazione ricordando che l’Italia è tra le prime 10 economie industrializzate del mondo.
Il nostro export, per fortuna, ha retto l’urto guadagnando addirittura un significativo surplus commerciale. L’Italia è infatti la quinta economia al mondo per surplus commerciale manifatturiero. Da questo punto di vista significativi sono i 28 contratti di cooperazione tra Italia e Russia recentemente siglati a Trieste, così come importante potrebbe rivelarsi la realizzazione di grandi reti infrastrutturali nel continente Euro Asiatico.

PROSPETTIVE NELLE RELAZIONI INTERNAZIONALI

Le prospettive di migliori e maggiori relazioni nello scenario internazionale esigono da un lato che l’Italia si muova come «sistema Paese» e dall’altro che sviluppi la ricerca a sostegno delle proprie imprese. L’attuale misero 1,2% del pil investito nella ricerca andrebbe elevato almeno al 3 % come già sostenuto dall’Unione europea a Lisbona nel 2000. In una situazione di ristrettezze finanziarie è ineludibile che la spending review riduca nettamente gli sprechi e la stessa spesa pubblica. Le risorse pubbliche devono essere finalizzate alle attività produttive, manifatturiere, del credito, della ricerca e delle nuove tecnologie. Tutto ciò è il presupposto per la creazione di lavoro qualificato.

Finora stiamo provando sulla nostra pelle che «di solo rigore si muore». Perciò non basta rendere più efficiente la politica economica nazionale ma occorre cambiare gli indirizzi dell’Unione Europea. Lo stesso Romano Prodi, uno dei costruttori dell’architettura europea, ripete che i parametri di Maastricht dovrebbero essere ridefiniti privilegiando la spesa per investimenti


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