Chi ha avuto modo di parlare con il presidente della Repubblica assicura ch’egli non ha inteso alludere solo alle opposizioni quando, ospite del Senato, ha lamentato “il frastuono delle polemiche così dannatamente elettorali” che agitano il dibattito politico. Ed ha ricordato che le elezioni per il rinnovo delle Camere “sono lontane”, per quanto “da qualcuno invocate in ogni momento”.
LA VOCE DI NAPOLITANO
Oltre o più ancora che alle opposizioni, ora rafforzate nella invocazione di nuove elezioni anticipate dall’approdo nelle sue file anche della rinata Forza Italia di Silvio Berlusconi, il capo dello Stato ha voluto far sentire alta e forte la sua voce, e protesta, anche ai settori della maggioranza tentati dalle urne. Tentati dietro le quinte di un sostegno al governo condizionato da attese nella migliore delle ipotesi irrealistiche, e quindi illusorie, ma forse anche strumentali. Delle quali cioè si conosce bene la irrealizzabilità, almeno in tempi brevi o addirittura brevissimi, per cui esse vengono prospettate e rivendicate solo per avere poi ragioni o pretesti per chiudere la partita negativamente e provocare una crisi.
CONTRO LE LARGHE INTESE
Questi settori della maggioranza sono gli stessi che, particolarmente nel Pd, non hanno mai digerito il governo e la maggioranza delle cosiddette larghe intese voluti e motivati da Giorgio Napolitano nel discorso del 22 aprile alle Camere, dopo essere stato rieletto al Quirinale. E non li gradiscono neppure nella versione più ristretta, mancante di Berlusconi, che sta per essere formalmente sancita con una nuova fiducia parlamentare. Settori che magari, pur non avendo contribuito all’elezione di Matteo Renzi a segretario del Pd con le primarie, sperano ch’egli ora riesca ad accelerare la caduta del governo strattonandolo troppo.
RENZI E LETTA SONO COMPATIBILI?
Indicativo di queste attese all’interno del Pd è apparso ciò che Rosy Bindi ha raccontato ad Agorà, il salotto televisivo mattutino di Rai 3, riferendo di un colloquio telefonico avuto con Renzi per complimentarsi con lui di un’elezione da lei pur contrastata. In particolare, la ex presidente del Pd, e controversa presidente della commissione parlamentare antimafia, ha riferito di avere chiesto a Renzi più o meno sarcasticamente quanto potranno durare, insieme, la sua guida al partito e quella di Enrico Letta al governo, a lei indigesta quanto l’altra.
I TIMORI DEL CAPO DELLO STATO
Ciò che bolle nel Pd anche dopo, o ancor più dopo la fine della campagna congressuale, non può naturalmente sfuggire al presidente della Repubblica, uomo di lunghissimo corso politico e dichiaratamente di sinistra. Che deve però calibrare le sue reazioni e preoccupazioni nei modi impostigli dalle sue funzioni di altissima garanzia. Lo fa tornando, per esempio, a ricordare ai malintenzionati che le elezioni, le cui chiavi sono peraltro nelle sue mani perché suo e solo suo è il potere di scioglimento della Camere, sono “lontane”. O traducendo in termini più realistici e praticabili certe istanze riformatrici espresse con dosi massicce e controproducenti di spavalderia rottamatrice da Renzi: in tema di “abolizione”, per esempio, del Senato rivendicata dal sindaco di Firenze appena eletto segretario del maggiore partito.
UN LINGUAGGIO MORBIDO
Peraltro sprovvisto di qualsiasi esperienza parlamentare, Renzi mostra di non rendersi perfettamente conto che una riforma soppressiva del Senato deve passare due volte per il voto dello stesso Senato, che non è affollato di tacchini smaniosi di festeggiare Natale e Capodanno. Napolitano gli ha praticamente suggerito di cambiare linguaggio, e approccio politico, quando ha preferito parlare della opportunità di “qualificare in modo nuovo ed essenziale il Senato”. Altra musica. Altro stile. Altra politica.