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Come rendere meno impopolare la Popolare di Milano. Parla Lonardi

Piero Lonardi, il “Don Chisciotte” di Bpm, è più combattivo che mai. “Sono sceso in campo per contrastare la lista del Palazzo – dice a Formiche.net – il cui intento è “normalizzare” Bpm in un modo che non tutela l’interesse di tutti gli azionisti”. Il presidente del Comitato soci non dipendenti ha presentato sul filo di lana una lista per il Consiglio di sorveglianza, sparigliando le carte in tavola dopo la rinuncia di Raffaele Mincione, secondo azionista della banca milanese. Cioè mentre i sindacati, che sponsorizzano l’economista ed ex ministro, Piero Giarda, stavano già pregustando la vittoria certa e scontata.

PROCEDURA DUBBIA

“Trovo che si sia attuata una procedura non corretta – spiega – le liste per il Cds le presentano i soci, non i Sindacati. Che hanno tutto un altro ruolo e non lo stanno svolgendo. Anzi, siamo al paradosso: invece di difendere i posti di lavoro, li mettono a rischio”. Il riferimento è alla possibile fusione che, secondo le voci che circolano sul mercato, potrebbe vedere co-protagonista Banco Popolare e causare 1500 tagli in termini occupazionali.

E la Lista per l’indipendenza, come Lonardi ha chiamato la sua squadra, è innanzitutto contro ogni ipotesi di fusione: “L’obiettivo della lista dei sindacati è trasformare la banca in Spa o fonderla in un altro istituto. Giarda ha smentito? Io credo che lo abbia fatto per non perdere voti, tanto che lo ha fatto in risposta al mio programma quando io ho sollevato le questioni di cui ora vorrebbe farsi lui stesso portavoce. Insomma, resto della mia idea”.

APPUNTAMENTO AL 21 DICEMBRE

La partita Sindacati-soci non dipendenti è ancora tutta da giocare. E bisognerà attendere l’assemblea del 21 dicembre per sapere quale delle due liste si accaparrerà la maggioranza del Consiglio di sorveglianza, 11 membri contro i 4 che finiranno ai perdenti.

Anche se la Lista per l’Indipendenza è stata presentata all’ultimo minuto e senza pubblicità, l’idea era probabilmente sedimentata prima: “Quando Andrea Bonomi (presidente del Consiglio di gestione e maggior azionista di piazza Meda, ndr) ha tentato di far rieleggere il Consiglio di gestione dal Cds, con largo anticipo rispetto alla scadenza del prossimo aprile, tutto era già chiaro – prosegue non senza polemica Lonardi – Lui parlava di nuovo mandato triennale per attuare l’aumento di capitale: io dico che l’anticipazione di termini era studiata a tavolino a Roma, e lo dimostra il fatto che subito dopo le dimissioni di Bonomi e Cds e la sollecitazione al Cdg di convocare l’assemblea è spuntato il Sindacato con la lista guidata da Giarda”. Un’anomalia insopportabile. Come la potenziale perdita di indipendenza.

COOPERATIVA O SPA?

Lonardi non esclude la trasformazione in Spa. “Io credo che la struttura di banca popolare si possa conservare facendo modifiche statutarie necessarie e urgenti – afferma Lonardi – Non è la forma giuridica che fa funzionare un’azienda. In Bpm però senz’altro è necessario limitare l’invasività dei dipendenti che votano gli organismi societari. Ma non avrei nulla contro la trasformazione in Spa, che però deve avvenire seguendo le regole che riguardano ogni società quotata: attraverso cioè un’Opa condizionata nel mercato, non come pretendeva Bonomi nell’interesse di un gruppo di soci. Che si sarebbe di fatto impadronito impadronisce dell’azienda con una quota di minoranza. Bisogna evitare di far prevalere la finanza, cosa che ha creato tutti i danni che conosciamo”.

IL RITORNO ALLE ORIGINI DEL BUSINESS

Sul duale Lonardi ha le stesse riserve di Bankitalia, ma ciò che davvero può fare la differenza in Bpm è il ritorno alle origini dal punto di vista del business. “Bpm deve fare il suo mestiere, ovvero credito a pmi e famiglie nel territorio in cui opera – sostiene Lonardi – abbandonare le operazioni di sistema, che se non sei capofila generano margini ridotti e perdite ingenti. Perché la Bpm si è infilata in queste operazioni? E perché si è infilata in modo imprudente nel settore immobiliare che adesso è in bolla con tutti gli effetti che conosciamo sul volume dei crediti dubbi?”. Ce la farà Lonardi a vincere la sua battaglia?  “Dovrei vincere per diritto morale – conclude – Ma intanto continuo a lavorare sulla scomposizione interna: i dipendenti erano tutti legati al sindacato ora la situazione è deteriorata ed è chiaro che il sindacato sia il responsabile del disastro”.



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