Skip to main content

Dove sta andando il nuovo Egitto e perché l’Occidente non lo sostiene

Tarek Ali Hassan è professore di medicina e capo di Endocrinologia all’Al-Azhar University al Cairo. Tarek è anche compositore, musicista, scrittore, pittore e filosofo. Inoltre, è a capo della “Zenab Kamel Hassan Foundation for Holistic Human Development”. La sua filosofia si fonda sull’unicità dell’essere umano nell’evoluzione. E’ un fervente oppositore dei modelli statici nella scienza e negli studi umanistici. Hassan si ispira a Osiride, Gandhi e Mozart. Crede che la sopravvivenza e il rapido sviluppo della creatività siano la svolta che ha reso l’essere umano unico. Tutto però è messo a rischio dalla violenza. Ha alcuni problemi fisici, ma la sua mente è molto lucida, parla un perfetto inglese, anche grazie alla moglie britannica.

Cosa ne pensa della situazione politica egiziana?
Gli egiziani vogliono una rinascita, il Paese è pieno di risorse, ma non sono usate bene. Le energie delle donne e dei ragazzi non sono ancora utilizzate in tutto il loro potenziale. Ecco perché è scoppiata la rivoluzione. Questo percorso è solamente all’inizio e rimane moltissimo da fare. Gli sconvolgimenti politici degli ultimi anni sono accaduti talmente velocemente che che non c’è stato tempo perché le idee che hanno portato alla rivoluzione si incarnassero in programmi politici, c’è ancora molta confusione e la crisi economica permane. Alcune personalità del governo sono ottime, per esempio il ministro dell’ambiente, ma ancora le politiche dell’esecutivo sono molto lente.

Dà un giudizio positivo della bozza costituzionale che verrà sottoposta al referendum?
Nei lavori della costituzione si è perso fin troppo tempo nei dettagli, ma si poteva fare ancora di più per dare una chiara visione sul futuro del Paese. Ci sono state alcune incertezze dovute alla volontà di tenere presente le idee dei Salafiti, anche per le continue pressioni dell’Occidente per non isolare l’ islam politico. Il Paese dovrebbe smettere di temere così tanto le reazioni di Washington. Trovo, però, che sia positivo il limite di due mandati presidenziali e che tutto sommato il testo sia migliore della costituzione di Morsi.

Il mondo occidentale continua a guardare con sospetto agli ultimi avvenimenti politici nel Paese.
Europa e Stati Uniti hanno tentato di far passare l’idea che ci sia uno scontro tra chi vuole l’Islam e chi no, finendo per avvallare la tesi dei Fratelli Musulmani, ma quello della confraternita non è vero islam e nel Paese non c’è lotta tra Musulmani e chi nega Maometto. C’è solamente una divisione tra chi pensa che la religione debba restare nella sfera privata e chi pensa debba entrare nell’agone politico.
L’Egitto vuole entrare nella modernità, questo chiedono le masse egiziane, e i Fratelli Musulmani hanno finito per rubare i loro sogni, tentando di creare nel Paese una repubblica che guarda a un finto medioevo mai esistito nella realtà. L’esatto contrario di quello che la gente chiedeva. Bisogna invece utilizzare le risorse che i giovani egiziani, donne e uomini, hanno perché sono loro il vero tesoro nazionale. Per fortuna ci sono alcuni intellettuali islamici che cominciano a denunciare come il mondo che gli islamisti spacciano per l’Islam delle origini sia falso.

Come è possibile che i Fratelli Musulmani avessero vinto le ultime elezioni?
Perché sono organizzati, hanno un forte network internazionale e fondi dai Paesi petroliferi. Tutto questo permette loro di comprare i voti dei poveri che vivono in campagna. Mentre i laici, fino a pochi mesi fa, erano disorganizzati e senza fondi. Inoltre, è andato a votare meno del trenta per cento della popolazione e l’altro candidato alle presidenziali, Ahmed Shafiq, era visto come un uomo di Mubarak. Morsi vinse con poco più del cinquanta per cento dei voti e quindi con meno del quindici per cento reale della popolazione. Una volta vinto ha redatto una costituzione pessima che rendeva il Paese una repubblica islamica e ha tentato di trasformare l’Egitto in una dittatura sottraendo le sue decisioni politiche al controllo della magistratura. La gente ha avuto un rigetto nei confronti di quella che percepiva come una nuova dittatura e si è rivolta ai militari perché arrestassero Morsi.

La fratellanza era cambiata in questi anni?
Sicuramente hanno imparato ad essere pragmatici. Non hanno mutato la loro ideologia di fondo, ma hanno imparato a trattare con gli Stati Uniti e perfino con il loro acerrimo nemico Israele, dimostrando di poter controllare Hamas. Ma il loro arrivo al potere aveva rappresentato una sconfitta per tutti quegli egiziani che erano scesi in piazza per chiedere una democrazia moderna.

Cosa pensa di quello che è accaduto a Rabaa e Nahda dove sono morti quasi 900 simpatizzanti dei Fratelli Musulmani?
Quando un gruppo politico si barrica in due piazze e non permette a nessuno di svolgere la sua vita o di andare a lavorare, non permettendo nemmeno a chi organizzare manifestazioni di farlo, questo non ha nulla a che fare con manifestazioni democratiche o pacifiste. Tutti avrebbero sperato che finisse in un modo diverso, ma i Fratelli Musulmani hanno avuto quaranta giorni in cui li hanno pregati di andarsene ed erano stati avvertiti di cosa sarebbe successo in caso contrario. Nemmeno l’occidente democratico avrebbe mai permesso che un partito politico armato si barricasse in una capitale e impedisse la vita per mesi.

L’Egitto diventerà di nuovo una dittatura come alcuni commentatori pensano?
É un errore immenso quello che si pensa in Europa e in America. Il Paese sta tentando di modernizzarsi, lo scopo della rivoluzione era questo, ma l’élite non è riuscita così come i giovani a rendere concreti questi desideri, siamo in uno stadio ancora iniziale. Il Generale Abd Al Fattah al Sisi ha conquistato il cuore di molti egiziani, sa parlare con intelligenza, e dolcezza, anche se non sappiamo bene chi sia davvero, ma l’Egitto non è pronto per un nuovo Mussolini. I Fratelli Musulmani non erano democratici, ed erano così affamati di potere che si sentivano i rappresentanti delle parole di dio in terra. Il generale non compirà un errore così grossolano.

Uno dei problemi degli ultimi 40 anni è che non c’è più un progetto politico, prima con Nasser si voleva costruire la nazione, si progettavano infrastrutture, sistemi scolastici universitari e molto altro. Certo, tutto questo è avvenuto attraverso la rinuncia alle libertà personali, ma almeno c’era un progetto. Dopo, tutto si è eroso: cultura, creatività, energie positive, è rimasta una vuota corruzione. Ricostruire tutto dopo 40 anni è davvero difficile, ecco perché alle prime elezioni post Mubarak si è permesso di andare a votare senza una costituzione nuova, con candidati come Shafiq, esponente del vecchio regime e Morsi dei Fratelli Mussulmani e fatto perfino peggiore, permettendo alla fratellanza di comprare i voti dei poveri falsando la democraticità del voto.

Ci sono ancora intellettuali che hanno una visione sul futuro del Paese?
Ce ne sono alcuni, ma c’è molta confusione e quando questo accade la cultura tende a sedersi sul divano e aspettare per capire dove tira il vento. Nonostante la nebbia che ricopre la cultura in Egitto, ci sono tantissimi ragazzi che hanno un pensiero molto raffinato e che danno grande speranza per il futuro del Paese. Ci sono tantissimi giovani artisti e moltissima creatività in questo momento. Queste sono le persone che possono fare avverare il sogno della rivoluzione: la modernità. Far rinascere la società e ripartire l’economia, dando al Paese un posto nella modernità e nell’agone internazionale. L’Occidente dovrebbe essere molto interessato a sostenere il nuovo Egitto che entra nel progresso, invece rimane alla finestra.

L’Egitto si sta allontanando dagli Stati Uniti e si sta avvicinando alla Russia?
È un fattore positivo, che Sisi stia equilibrando la bilancia dei rapporti internazionali, favorendo l’immagine di un Paese che, pur rimanendo alleato degli Stati Uniti, abbia anche buoni rapporti con Russia e Cina. L’Egitto ha da secoli una visione pluralistica del mondo, è sempre stato un punto di passaggio tra l’Occidente e l’Oriente, basti pensare a cosa era Alessandria fino agli anni cinquanta, quasi metà della popolazione era italiana, greca, inglese e francese. Oggi la città, pur rimanendo bellissima, ha perso quasi il 98% per cento del suo antico charme, a seguito della perdita del suo universalismo e cosmopolitismo.

Questo impoverimento culturale è colpa della politica?
Molta povertà è indotta politicamente e crea persone passive e quindi più controllabili. Appena hai iniziative il governo ti ferma, lo vede come un male. Le persone hanno paura e non hanno più iniziative. La passività creata dall’oppressione politica e religiosa, che sono alleati, hanno distrutto per troppo tempo la creatività e hanno creato persone che aspettano l’aiuto dello Stato invece di darsi da fare. Al contrario bisogna avere una visione per il Paese, creare una nazione libera che accetti le differenze, che dia spazio ai cittadini per crescere e per svilupparsi. Io, per esempio, amo il diritto alla felicità sancito dalla costituzione americana.


CONDIVIDI SU:

Gallerie fotografiche correlate

×

Iscriviti alla newsletter