Non so se a torto o a ragione, pur apparendo verosimile solo a immaginarne il suono della voce e la solita smorfia finale, ma viene attribuito al rottamato Massimo D’Alema un giudizio sul rottamatore Matteo Renzi come di “un pallone gonfiato”, destinato a “scoppiare da solo”, senza che nessuno debba neppure scomodarsi a pungerlo.
Questa rappresentazione dalemiana di Renzi, vera o presunta, sarebbe un po’ una variante di quella celebre e più certa dell’allora vivo e autorevolissimo Gianni Agnelli, sfuggita ad Eugenio Scalfari, come dell’avvocato “di panna montata”. Agnelli ebbe il tempo, oltre alla voglia, di smentire il suo severo censore, continuando a tessere sino alla morte tele di affari e di potere. Di Renzi non so francamente, a parte la voglia che sicuramente non gli manca, se avrà il tempo di smentire le presunte previsioni o scommesse di D’Alema contro di lui, vista la rapidità con la quale egli rischia di incartarsi da solo con il suo sfrenato e disordinato attivismo.
Sino ad ora, anziché mettere in difficoltà il vice presidente del Consiglio Angelino Alfano e il suo Nuovo Centrodestra con frasi, frasette e manovre tese a fargli perdere i nervi e ad indurlo al passo falso di una crisi, Renzi è riuscito a scombinare il proprio partito con quella inutile domanda sprezzante – “Fassina chi?” – che ha provocato le dimissioni “irrevocabili” del già inquieto e polemico vice ministro dell’Economia. Ed ha moltiplicato i problemi del presidente del Consiglio Enrico Letta, senza la cui neutralità o distacco, forse avventato, Renzi peraltro non sarebbe probabilmente riuscito a vincere primarie e congresso per la conquista della segreteria del Pd. O non le avrebbe vinte con i numeri di cui si vanta. E che sbatte in faccia a chiunque osi contrastare le sue sfide, minacce, lusinghe, allusioni e quant’altro, secondo i giorni, le ore o i minuti.
D’altronde, che il pur “amico Enrico” Letta e il suo governo siano l’obiettivo principale o finale dell’attivismo di Renzi, dietro una formale pretesa di aumentarne ritmi e produttività politica per non farlo cadere di immobilismo, lo hanno ormai capito bene tutti. A cominciare dallo stesso Letta, nonostante finga il contrario, o faccia seguire ad ogni moto di stizza o di dubbio la solita fiducia nella possibilità, utilità, necessità di un’intesa solida con il nuovo segretario del partito, non foss’altro per motivi generazionali. Che tuttavia Renzi non si è risparmiato nei giorni scorsi di contestare, ricordando di avere meno anni di Letta, ma anche di Alfano, e essere più fresco e innovativo di loro per non averne i precedenti di governo: con Romano Prodi l’uno e con Silvio Berlusconi l’altro.
Lui, Renzi, ha di suo, e di più, le primarie. Sempre quelle, le primarie “aperte” dell’8 dicembre, con tre milioni di cittadini accorsi a votarlo o a consentirgli di stravincerle dando pochissimi consensi ai due poveri antagonisti rimasti in gara dopo i turni dei circoli e degli iscritti: Gianni Cuperlo, compensato poi con la sostanzialmente onorifica presidenza dell’assemblea nazionale, e Beppe Civati.
Dei numeri delle primarie Renzi ha già detto che intende farsi forte anche il 14 gennaio nell’incontro con i senatori del suo partito per strappare loro il consenso, come tacchini a Natale, all’abolizione del Senato. Che andrebbe trasformato in una seconda Camera, non elettiva e non remunerata, di sindaci e governatori.
Chissà se qualcuno avrà la voglia o la forza di ricordargli, in quella occasione, che i tre milioni di elettori delle tanto decantate primarie sono quasi un terzo degli 8 milioni 644 mila e 523 elettori che a fine febbraio scorso votarono per il Pd alla Camera convinti, come aveva loro detto in campagna elettorale l’allora segretario del partito e candidato a Palazzo Chigi Pier Luigi Bersani, di avere “la Costituzione più bella del mondo”. Che è quella – ahimè – del bicameralismo perfetto e dispendioso, cioè di due Camere entrambe elettive. Questo, giusto per rimettere i puntini sulle i e riportare Renzi con i piedi per terra, facendogli capire che le cose sono un più complicate di come lui le veda o le desideri.
Francesco Damato