Si può ammantare di elevata discussione politica e partitica, così come si può derubricare a reazioni personalistiche, la vicenda delle dimissioni di Stefano Fassina, viceministro Pd all’Economia, dopo lo sfrontato e irrispettoso “Fassina chi?” pronunciato dal segretario del Pd, Matteo Renzi, dedito a funambolismi mediatici degni di miglior causa.
Ma forse né motivazioni politico-partitiche, né ragioni psico-politiche, convincono del tutto: c’è un po’ delle une e un po’ delle altre nella vicenda tutta interna al Pd che è detonata nel governo Letta. Ma la bizzarria delle bizzarrie è che sia Fassina che Renzi si trovano concordi sicuramente su un punto non secondario: si sfori pure il tetto del 3 per cento del rapporto fra deficit e pil, contrattando lo sforamento con l’Europa per alleviare le pene della recessione e della disoccupazione.
Eppure sia un uomo delle istituzioni, come il viceministro dell’Economia, sia il segretario del principale partito di maggioranza che si balocca tra illusioni e ambizioni, non riescono a far tramutare questa condivisibile aspettativa in azioni concrete.
Forse è giunta l’ora di prendere atto che con le guasconate e le permalosità si può di sicuro fare politica ma non si diventa politici di rango.
E si spera, ovviamente, di errare.
Renzi: “Fassina chi?” (fonte video: Repubblica.it)