Il 2013 è un anno perso per la lobbying nel nostro Paese. Chi potrebbe dire il contrario? L’aspetto più eclatante, citato da alcuni studiosi del fenomeno della lobbying come Gianluca Sgueo proprio qui su Formiche.net, è che per l’ennesima volta il Governo non sia riuscito a varare la tanto sospirata legge che doveva regolamentare i comportamenti dei lobbisti traghettandoli da una sorta di limbo professionale a una situazione in cui sia riconosciuto ruolo e loro importanza per il funzionamento dei processi democratici.
SOLO PROCLAMI
Dopo tante dichiarazioni di intenti, questa estate sembrava arrivato il momento e invece picche. Il vero problema, però, è che comincia a mancare anche la speranza. Sul futuro nuvole nere: i nostri tre potenziali leader politici, Berlusconi, Renzi, Grillo non sembrano, infatti, particolarmente interessati al lobbying. Il primo non se ne è mai occupato durante i suoi anni al governo, il secondo non ha ancora espresso una posizione chiara, il terzo sembra incapace di scindere tra l’utilizzo demagogico, semplicistico e dalla forte connotazione negativa della parola lobby con la professione del lobbista.
LE CRITICHE AL LOBBISMO
Proprio su questo sta il secondo aspetto negativo del 2013 per la lobbying. Si usa il termine “lobby” per descrivere qualsiasi azione che serve a proteggere una casta o un interesse privato. E fin qui nulla di male. Ma poi si confonde l’incapacità della politica di fare sintesi tra questi interessi privati attraverso, appunto, una visione politica dell’interesse pubblico con l’influenza delle lobby. In sintesi: è colpa delle lobby se le leggi sono scritte male.
I decreti legge di fine anno sono allora fallimentari proprio a causa del lavoro delle lobby. Noi lobbisti “ufficiali”, forse ingenuamente, diremmo che non sono così male proprio grazie al lavoro di certe lobby e sono invece fallimentari per l’azione di “finti” lobbisti – negli Stati Uniti si chiamerebbero “shadow lobbyist” – e parlo dei politici che fanno i lobbisti, dei funzionari pubblici che fanno i lobbisti, e così via.
CONTRO GLI ABUSI
All’inizio del 2013 un noto giornalista ci disse: inutile che combattete contro l’uso-abuso del termine lobby, dovreste trovare un termine diverso per descrivere la tua attività. Rispondemmo che eravamo troppo orgogliosi per farlo. E anzi abbiamo fatto “outing” scrivendo sui nostri biglietti da visita “lobbying” come scriverebbe “consulting” un consulente della McKinsey. Adesso forse è tempo di essere meno orgogliosi e pensare davvero a dare un nuovo nome alla nostra professione. Apriremo un concorso nel 2014.
QUANTO VALE IL MERCATO
Il terzo aspetto è legato al mercato dei servizi professionali di lobbying. Capire quanto vale il mercato della lobbying in Italia è praticamente impossibile. Possiamo fare alcune ipotesi. I bilanci, stranamente pochi, pubblicati dalle società di lobbying parlano di un mercato piccolo, in proporzione meno sviluppato di quelli anglosassoni o di quello di Bruxelles. È un dato preoccupante soprattutto perché rimane di fatto stabile da molti anni. Nel frattempo alcune società sono cresciute ma solo a danno di altre. Insomma, invece di crescere tutti, si lotta più aspramente per la stessa “torta”. Siccome non si può pensare che la lobbying nel nostro Paese valga così poco il dato è negativo perché significa che il mercato trasparente non riesce a rubare quote di fatturato agli “shadow lobbyist” che sfruttano vantaggi di posizione invece che il lavoro professionale. E questo è un danno per la qualità dei processi legislativi, prima ancora che un danno ai nostri fatturati.
L’EVOLUZIONE DEL RAPPORTO TRA CLIENTI E LOBBISTI
L’unico aspetto positivo del 2013, almeno dal punto di vista parziale del nostro osservatorio, è stata l’evoluzione del rapporto tra clienti e lobbisti. Sempre di più anche le grandi corporation capiscono come il mondo delle relazioni, con il bagaglio di “favori” da cui era composto, stia scomparendo. Sono cambiati i politici, con l’arrivo dei renziani il cambiamento sarà ancora più visibile, e sono cambiate le generazioni di imprenditori e di manager. La generazione dei “quarantenni” è meno legata al tema delle relazioni cari ai loro padri e predecessori, crede di più ai contenuti ed è maggiormente consapevole che la sfida della sostenibilità, dell’innovazione, non solo tecnologica ma anche sociale e culturale, sia indifferibile.
RIPARTIRE NEL 2014
Ripartiamo dunque da qui nel 2014. Dalla voglia di continuare a rendere il lavoro del lobbista più professionale e più trasparente. Possiamo continuare in questo percorso anche senza una legge che ce lo imponga. Alcuni di noi hanno implementato un codice etico e modelli organizzativi ex D.Lgs. 231/2001. Alcuni di noi depositano annualmente e puntualmente i propri bilanci. Altri dovranno per forza arrivare a dotarsi di questi strumenti minimi e siamo certi lo faranno durante questo nuovo anno. Alcuni di noi stanno, seppur a fatica, implementando sistemi di “alfabetizzazione” presso i loro clienti per una lobbying meno relazionale e più di contenuto (che poi significa anche più trasparente perché i position paper sono pubblici, verificabili, criticabili mentre le relazioni sono solo semplicemente opache). Alcuni di noi stanno innovando insieme alla prossima rivoluzione degli open data (dove le informazioni da istituzioni e parlamenti saranno pubbliche e accessibili per tutti) spostando l’attenzione dall’accesso all’informazione riservata alla comprensione di tale informazione e degli interessi in gioco.
Ripartiamo dunque dal 2014 con un vecchio e abusato slogan: non chiederti cosa il tuo Paese può fare per te, chiediti cosa puoi fare tu per il tuo Paese. In sintesi, possiamo fare una lobby migliore anche senza l’aiuto dello Stato e con questo aiutare, senza ipocrisie, la democrazia del nostro Paese.
Alberto Cattaneo
Founding Partner Cattaneo Zanetto & Co.