Pubblichiamo grazie all’autorizzazione dell’autore e del gruppo Class il commento di Guido Salerno Aletta uscito sul settimanale Milano Finanza diretto da Pierluigi Magnaschi
Per l’Italia, e per l’Europa tutta, il 2014 rappresenta una sorta di terra di nessuno: mentre abbiamo lasciato con perdite vistose il territorio della recessione economica, in taluni casi financo della depressione, dovremmo finalmente entrare in quello della ripresa. È una prospettiva essenziale: non solo per assicurare la tenuta sociale e la vitalità del disegno europeo, ma per garantire la sostenibilità dei debiti pubblici europei. Possono stabilizzarsi, e poi ridursi in rapporto al pil, solo se la crescita sarà vigorosa: un’ulteriore stasi, dopo aver raggiunto livelli di severità fiscale inusitati, sarebbe dirompente: finanziariamente, socialmente e politicamente.
RICORSI STORICI
Siamo di fronte a responsabilità storiche. Ci troviamo, infatti, in una situazione per molti versi analoga a quella che caratterizzò gli anni successivi alla prima guerra mondiale. In quel periodo la moneta di riferimento era la sterlina e tutti i Paesi dell’Europa si trovavano alle prese con il pagamento dei debiti di guerra o degli oneri di riparazione. Direttamente o indirettamente, il percettore ultimo era il sistema finanziario americano: a New York vennero addirittura piazzati i titoli con cui la Germania raccolse i fondi necessari a pagare la prima rata delle riparazioni. Anche la Gran Bretagna si era indebitata a New York, e le riserve in oro della Banca d’Inghilterra si erano praticamente azzerate. Il cambio tra sterlina e dollaro era peggiorato per via della maggiore inflazione avutasi in Inghilterra durante il conflitto: per ristabilire il precedente rapporto, e tornare al gold standard dominato dalla sterlina, l’alternativa era rappresentata o da una maggior inflazione americana indotta da una riduzione dei tassi di sconto da parte della Federal Reserve, oppure dalla deflazione da parte britannica attraverso un aumento dei tassi di sconto da parte della Banca d’Inghilterra. L’America, infatti, era diventata la principale destinataria dei flussi di capitale mondiali e non aveva nessuna intenzione di farli ritornare a Londra: per riaverli, si doveva remunerarli più che a New York. Strozzare l’economia reale inglese fu l’unico modo per rivalutare la sterlina ed attirare nuovamente i capitali.
LA CRISI VALUTARIA
La crisi valutaria della lira nei primi anni 20 fu la conseguenza diretta di quella situazione: anche l’Italia, per poter tornare al rapporto di cambio ante guerra con la sterlina, fu costretta ad assumere misure fiscali, di bilancio e sociali draconiane: gli stipendi pubblici vennero ridotti per legge e le cronache dell’epoca narrano che mentre i salari erano diminuiti del 20%, i prezzi erano calati appena della metà. L’impoverimento della nazione fu irrecuperabile. La “quota 90” non fu nient’altro che l’allineamento dell’Italia ad un più generale riassetto delle relazioni di forza tra Washington e Londra: la guerra mondiale aveva determinato una bolla di debiti a livello globale, in cui gli Usa erano i creditori ultimi. spostando il baricentro del potere politico e finanziario al di là dell’Atlantico.
L’EUROPA DI OGGI
Oggi l’Europa fronteggia una situazione analoga: per far fronte alle conseguenze della crisi finanziaria del 2008, tutti gli Stati si sono tutti indebitati, mentre i capitali sono volati in Germania in cerca di sicurezza rispetto ad un possibile default. L’obesità dei crediti vantati dalla Bundesbank nei confronti delle altre Banche centrali all’interno del sistema dei pagamenti Target 2 gestito dalla Bce è il frutto di trasferimenti unilaterali di capitali all’interno dell’Eurozona. È un fenomeno che non ha nulla a che vedere con le transazioni commerciali.
LA STRATEGIA DI BERLINO
Stavolta è stata Berlino a stabilire la strategia di riequilibrio delle relazioni commerciali infra-UE e di stabilizzazione dei debiti: l’alternativa si poneva tra un processo di crescita sostenuto dall’aumento della domanda interna tedesca, con una conseguente maggiore inflazione in Germania che avrebbe determinato l’assorbimento definitivo del suo surplus commerciale infra comunitario, ovvero da manovre restrittive nei Paesi deficitari, volte a ripristinare la loro competitività abbassando prezzi e salari. Politiche di bilancio severe avrebbero assicurato la stabilizzazione dei debiti pubblici.
VERSO IL COLLASSO?
Le analogie con gli anni 20 non si fermano qui. A quei tempi, i debiti pubblici eccessivi erano stati determinati dalla guerra mondiale e la recessione che venne imposta per poterli ripagare determinò la crisi finanziaria americana del ’29, cui era sottesa una capacità produttiva divenuta esuberante in un contesto di deflazione globale. Stavolta, lo scenario di un conflitto in Europa non è alle nostre spalle bensì davanti a noi: solo una forte ripresa economica lo può evitare. La situazione economica, finanziaria e sociale in Grecia, Irlanda, Portogallo, Spagna ed Italia, che subiscono da anni il crollo del prodotto, vedono esplodere la disoccupazione e la lisi del tessuto produttivo, può farsi insostenibile. Se si aggiungesse la Francia, che nel 2014 subirà una cura fiscale molto pesante per via dell’aumento delle imposte, le tensioni farebbero venir meno la coesione politica a livello europeo, facendo saltare l’unico vero puntello che ha finora evitato il collasso dell’euro.
UN SOSTANZIALE IMMOBILISMO
Il 2014 si apre quindi con gli stessi dilemmi del 2013, con le medesime strategie fiscali adottate sin dal 2012, e con le identiche incertezze che si avevano nel 2011: da una parte c’è chi ancora insiste con le politiche di rigore fiscale, realizzate aumentando prevalentemente la pressione fiscale, tariffaria ed ogni genere di prezzi amministrati, con la conseguenza di deprimere l’economia e di ingigantire il rapporto debito pubblico/pil, e dall’altra c’è chi ritiene che il debito pubblico italiano non possa essere ridotto attraverso la leva dell’avanzo primario, ma con un abbattimento straordinario attraverso la valorizzazione degli asset pubblici.
LA CONTRAZIONE DELL’IMPORT
L’aggiustamento dei conti con l’estero è avvenuto, ma soprattutto per via della contrazione dell’import, mentre l’export ha ceduto di pari passo alla contrazione del commercio infra-UE e alla svalutazione del dollaro sull’euro. La caduta del pil reale, che in Italia ha segnato l’1,7% nel 2013 dopo il -2,4% del 2012, è stata provocata dalla prosecuzione delle misure restrittive di finanza pubblica. La crescita dello 0,7% nel 2014, quale è quella stimata dal Fmi per l’Italia, non sarà ancora sufficiente a stabilizzare in Italia il rapporto debito/pil, che infatti dovrebbe salire ancora, passando dal 132,3% del 2013 al 133,1% del 2014. Solo nel 2015, quando la crescita dovrebbe essere dell’1%, il rapporto dovrebbe ridursi al 131,8%. C’è quindi una relazione inversa che lega l’andamento del pil a quello del debito: a parità di tassi di interesse, la sostenibilità del debito dipende dall’andamento del pil.
SCORCIATOIA POLITICA
Nel frattempo, invece di semplificare il sistema istituzionale ed amministrativo, si propone come panacea di tutti i mali di trasformare il Senato nella Camera delle Autonomie: è solo una scorciatoia politica, chiesta da chi vuol andare al governo senza avere la maggioranza in tutto il Paese. Serve solo ad evitare il voto di fiducia e la funzione legislativa da parte del Senato, dove la maggioranza si ottiene sommando i risultati elettorali di ciascuna regione: una impresa che al PD, senza forti alleati al centro, non riuscirà mai. Servirebbe, invece, ridurre drasticamente i poteri legislativi delle Regioni e concentrare tutta l’amministrazione pubblica, locale e statale, a livello provinciale.
UNO SNODO FONDAMENTALE
Si arriva così allo snodo fondamentale, per l’Italia e per l’Europa: non possiamo rimanere ancora per un anno nella terra di nessuno, nell’incertezza della ripresa e del riequilibrio dei conti esteri. I mercati possono tornare ad essere inquieti se la crescita non riprende e di conseguenza i debiti pubblici continuano a crescere ancora per via della caduta del prodotto. Serve quindi una impostazione diversa, di politica economica e monetaria. Servono riforme istituzionali incisive. Paolo Savona e Giuseppe Guarino, con i loro interventi pubblicati su MF-Milano Finanza, ci sollecitano a riflettere sulle questioni dirimenti, in Europa ed in Italia. Le elezioni europee a maggio saranno un banco di prova per tutti.