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Pregi e difetti di Etihad in Alitalia. Parla il prof. Arrigo

Il nuovo assetto azionario di Alitalia dopo l’ingresso di Poste. Il ruolo sempre più defilato di Air France. I soci-partner preferibili per la compagnia di bandiera. E comunque un altro aumento di capitale per Alitalia sarà necessario. Parla Ugo Arrigo, docente di Finanza pubblica all’Università Bicocca di Milano ed esperto di trasporto aereo. Ecco la conversazione con Formiche.net.

Prof, meglio un’Alitalia fallita o un’Alitalia “salvata” con un’altra operazione di sistema in attesa di un partner industriale forte?
L’operazione di sistema del 2008 è stata una pessima soluzione per il mercato aereo, i consumatori, i dipendenti della vecchia Alitalia, le finanza pubbliche e persino per gli azionisti della nuova azienda i quali, attratte da regole e condizioni ad hoc, hanno creduto in un progetto aziendale, il famoso piano Fenice, destinato già in partenza a fallire. E’ dunque fondamentale non ripetere errori così gravi.

Quindi che cosa auspica?
Si può scegliere sia di lasciar fallire il vettore se nessuna soluzione privata, come l’ipotesi Etihad, si realizza in tempi rapidi, che ‘salvarlo’ transitoriamente attraverso l’intervento pubblico. Sono due soluzioni nette e opposte, la prima di mercato, la seconda di Stato. E’ importante che siano chiare e non pasticciate. Se si ritiene necessario utilizzare soldi pubblici allora sia lo Stato a metterli in prima persona, senza il paravento di aziende partecipate compiacenti come le Poste, e si assuma l’onere di gestire direttamente l’azienda per il breve tempo necessario a trovare un azionista privato del settore che ne rilevi il controllo (che non potrà che essere straniero).

Ma lei preferisce la soluzione di mercato o la soluzione statale?
Da liberale preferisco la soluzione di mercato del fallimento aziendale che è stata spiegata molto efficacemente parecchi anni fa dall’economista Albert Hirschman: “Nel modello tradizionale di economia concorrenziale, in realtà, la guarigione (dell’impresa in crisi) non è indispensabile. Se un’azienda viene sconfitta dalla concorrenza, la sua quota di mercato viene assorbita e i suoi fattori produttivi vengono rilevati da altre aziende, comprese quelle nuove; alla fine, le risorse globali possono essere effettivamente allocate meglio”.

Lasciamo stare la teoria e torniamo all’attualità, prof…
Ma nel caso Alitalia si tratta proprio di una sconfitta dovuta alla concorrenza, agli effetti del processo europeo di liberalizzazione che ha permesso una grande crescita del mercato, una forte riduzione dei prezzi e ha portato fuori mercato i vettori che non sono stati in grado di adeguarsi.

Ma vogliamo parlare delle conseguenze che ci sarebbero dal fallimento di Alitalia?

Se Alitalia fallisse il suo 21% di quota di mercato sarebbe rapidamente assorbito da altre compagnie e nessun passeggero resterebbe a terra. In tale ipotesi lo Stato dovrebbe darsi da fare per favorire l’assunzione dei dipendenti Alitalia da parte dei vettori nuovi entranti e proteggere chi dovesse eventualmente restare fuori. Nel 2009 la nuova Alitalia lasciò a terra 90 aerei su 240 totali dei due vettori aggregati ma il traffico passeggeri in tal modo perduto è stato recuperato dagli altri vettori, soprattutto low cost, in meno di due anni. All’inizio del 2012 è fallita la compagnia ungherese Malev che trasportava più di tre milioni di passeggeri annui, tuttavia nell’intero 2012 il traffico passeggeri sui cieli ungheresi si è ridotto di sole 400 mila unità. Questo vuol dire che sei passeggeri su sette lasciati a terra da Malev sono stati presi a bordo nello stesso anno da altri vettori.

Secondo lei le sinergie industriali fra Poste e Alitalia sono di facciata o reali?
Non vi è alcuna sinergia tra Poste a Alitalia, le uniche sinergie esistenti sono invece tra Poste pubbliche e Stato, essendo state le prime chiamate a svolgere un lavoro sporco che il secondo non voleva prendere in carico direttamente, principalmente a causa del clamoroso insuccesso dell’operazione di sistema del 2008. Nel mondo esistono operatori del recapito che posseggono flotte aeree anche rilevanti ma si tratta solo dei grandi corrieri mondiali e nessuno di essi li utilizza per trasportare passeggeri. L’operazione Poste in Alitalia ha suscitato risate universali e non ha certo giovato al difficile tentativo dell’Italia di accreditarsi nel contesto internazionale come paese serio ed affidabile.

Con l’aumento di capitale, Air France dunque è destinata a defilarsi?
Air France sembra aver rinunciato ai suoi obiettivi su Alitalia, dopo avervi perso integralmente i fondi conferiti come azionista all’inizio del 2009. E’ il socio che ha perso più soldi nell’operazione, almeno sino al momento attuale. Coloro che hanno partecipato al recente aumento di capitale potrebbero invece concorrere a battere questo primato. Quella di Air France sembra essere un’uscita definitiva, tuttavia non ne sarei così certo. In passato Air France è stata sconfitta diverse volte nel tentativo di aggregare Alitalia ma vi ha sempre riprovato.

Ma come mai la compagnia francese ha fatto un passo indietro e non in avanti?
Nel 2008 Air France godeva di ottime condizioni economico-finanziarie ed era certamente la soluzione migliore possibile per risolvere il rebus Alitalia. Oggi non è più così dato che il vettore è reduce da alcuni anni di perdite, anche consistenti, ed ha in corso un piano di ristrutturazione i cui esiti sono al momento tutt’altro che certi. In queste condizioni è difficile giustificare agli occhi degli azionisti e dei sindacati dei dipendenti un impegno rilevante in un vettore tradizionalmente problematico come Alitalia senza neppure avere la certezza di assumerne il controllo e di poterlo integrare. Air France non può più svolgere in Alitalia il ruolo di ripianatore di perdite che non controlla.

Come scritto da Formiche.net, dal governo ai soci italiani di Alitalia fino ad Adr pare che la soluzione Etihad sia quella più auspicata. Che ne pensa?
Sono anch’io convinto che Etihad sia, tra le soluzioni che si sono sinora prospettate, la migliore. Si può dimostrare ragionando sull’identikit del partner necessario. Esso deve aver due requisiti che sono irrinunciabili: elevata competenza gestionale nel trasporto aereo, dunque non può che essere un partner industriale, e disponibilità di capitali consistente, in grado di finanziare i rilevanti investimenti necessari per la nuova gestione di Alitalia. Nessun soggetto economico italiano possiede questi requisiti.

Ma lei consiglia un socio forte europeo o asiatico per Alitalia?
In Europa sono solo tre i partner possibili: Air France, Lufthansa e il gruppo British. Di essi tuttavia gli ultimi due si sono sempre dichiarati non interessati ad Alitalia mentre Air France avrebbe volentieri acquisito il controllo che tuttavia lo Stato italiano ha ripetutamente dimostrato, anche per storiche rivalità, di non voler concedere. Fuori dall’Europa i soggetti che meglio rispondono a entrambi i requisiti sono i vettori mediorientali, dunque Etihad. In questo caso vi è un terzo vantaggio importante per il nostro mercato: l’interesse ad investire su rotte di lungo raggio, intercontinentali, avviando finalmente quei collegamenti diretti dal nostro paese che sono storicamente mancati, soprattutto per le errate scelte strategiche della vecchia e della nuova Alitalia e per l’indisponibilità dei fondi necessari tanto in capo al vecchio azionista pubblico quanto ai più recenti ‘capitani coraggiosi’. Etihad, così come Emirates, ha inoltre programmi di acquisto consistenti di aeromobili di lungo raggio, dunque disporrebbe della tipologia di aerei maggiormente necessari. I possibili partner europei, invece, sono almeno nel breve periodo più interessati a sviluppare i collegamenti di breve raggio dall’Italia verso i loro hub nazionali (anche se nel medio periodo, se vi è domanda sufficiente a riempire i voli, conviene offrire collegamenti intercontinentali diretti dato che il costo per passeggero km trasportato è molto più ridotto).

Considera ancora attuale il vincolo vigente in Europa secondo cui un socio extraeuropeo non può avere più del 49 per cento di una compagnia aerea europea?
Le norme europee impongono che i vettori aerei titolari di licenza sui cieli comunitari siano posseduti per più del 50% e controllati anche di fatto da soggetti economici comunitari. Da liberale considero anacronistico e controproducente questo vincolo. Se l’obiettivo è lo sviluppo del mercato e il benessere collettivo generato dal trasporto aereo, quale importanza può avere la nazionalità di chi controlla un produttore che offre per di più servizi in un mercato interno totalmente liberalizzato? E’ lo stesso giudizio che do in relazione ai vincoli tuttora esistenti sulle rotte da e per l’Unione Europea. Naturalmente, dato le specificità del settore, possono essere invece giustificate restrizioni proprietarie nei confronti di soggetti esterni per ragioni di sicurezza, ad esempio per impedire che un soggetto economico di uno stato potenzialmente ostile possa assumere il controllo di un vettore comunitario. Ma questi sarebbero casi molti ridotti rispetto alla totalità di quelli attualmente impediti. Oggi, ad esempio, non è possibile neppure integrare un vettore europeo e uno nordamericano e francamente non se ne riescono a comprendere le ragioni.

Perché al Foglio ha detto che per Etihad Alitalia potrebbe essere il Cavallo di Troia per entrare nei cieli europei?
Etihad è un vettore molto giovane e in rapida espansione. Nato solo nel 2003, anno in cui ha debuttato impiegando due soli aerei, dispone ora di una flotta di oltre ottanta aeromobili, tre quarti dei quali a lungo raggio. Ha inoltre un ambizioso programma di espansione: oltre 110 nuovi aerei ordinati sino allo scorso anno che sono ora divenuti più di 150. Esso in sostanza programma di triplicare le sue dimensioni e non certo per limitarsi a trasportare passeggeri da e per il Medio Oriente. Se consideriamo Etihad congiuntamente a Emirates, le due compagnie degli Emirati Arabi Uniti hanno attualmente flotte per oltre 300 aerei e ordini per oltre 350, quasi tutti a lungo raggio. Non è irragionevole pensare che intendano pervenire congiuntamente a un totale di oltre 600 aerei ai quali corrisponderebbe una capacità complessiva di circa 180 mila posti passeggeri. Oggi in Europa per arrivare a dimensioni simili bisogna sommare Air France, Klm e Lufthansa la cui flotta totale è di circa 650 aerei e a cui corrisponde una capacità di 150 mila posti passeggeri. Ma i tre vettori europei partono da paesi che hanno complessivamente quasi 160 milioni di abitanti mentre gli Emirati Arabi non arrivano a otto milioni. Dove pensano le due compagnie di trovare i passeggeri per riempire così tanti aerei? La risposta più ovvia è in Europa. Dunque aspettiamoci una pressione competitiva verso i maggiori vettori dell’Unione Europea rispetto ai quali esse godono di evidenti vantaggi di costo oltre a una molto più facile disponibilità di capitale di rischio.

Come potrà difendersi l’Europa da questa pressione?
Per ora la fortezza dei cieli europea è difesa essenzialmente da poche righe di una norma comunitaria. Infatti l’art. 4 del regolamento CE 1008 del 2008 prescrive che “L’autorità competente per il rilascio delle licenze di uno Stato membro rilascia una licenza di esercizio a un’impresa a condizione che (…) gli Stati membri e/o i cittadini degli Stati membri detengano oltre il 50 % dell’impresa e la controllino di fatto, direttamente o indirettamente, attraverso una o più imprese intermedie… “. Questa regola sbarra il passo alla possibilità di una partecipazione di Etihad pari o superiore al 50% delle azioni Alitalia ma anche a quella di un controllo aziendale di fatto che è teoricamente possibile realizzare pur con una partecipazione inferiore al 50%. In futuro questa protezione normativa potrebbe non essere sufficiente e potrebbe invece rendersi necessaria un’aggregazione ulteriore tra grandi vettori europei e/o tra questi e altri non europei, ad esempio nordamericani. Una svolta simile richiederebbe tuttavia un accordo su basi di reciprocità tra Comunità Europea e Stati Uniti, i quali hanno tuttavia vietato sinora partecipazioni estere nei loro vettori superiori al 25% del capitale.

L’arrivo di Etihad in Alitalia, in definitiva, può ora considerarsi un percorso in discesa o in salita?
L’arrivo di Etihad nel capitale di Alitalia non può essere dato per scontato e il percorso è tutto in salita. Intanto è da escludersi che siano disponibili ad entrare senza contare nella gestione e rischiando perdite simili a quelle riportate da Air France. Inoltre, come abbiamo visto, non possono acquisire una quota di maggioranza assoluta e neppure una di maggioranza relativa che sia in grado di assicurare loro il controllo aziendale. E’ dunque da escludersi che entrino col 49%, più probabile con un 25-30%. Nella prima ipotesi infatti corrono il rischio che i maggiori vettori europei facciano ricorso sostenendo che essi sono in grado di controllare Alitalia e in tal caso rischierebbero di perdere la licenza di vettore comunitario.
Con qualunque quota entrino si porrà in ogni caso a breve distanza di tempo la necessità di un consistente aumento di capitale, necessario per finanziare la normale operatività aziendale e soprattutto gli investimenti. Serviranno almeno 1,5-2 miliardi ulteriori ed essi dovranno principalmente essere conferiti da azionisti comunitari. Poiché è da escludere che gli azionisti italiani attuali siano disposti e siano in grado di reggere un simile sforzo finanziario, è evidente la necessità dell’ingresso di ulteriori nuovi azionisti che tuttavia non potranno essere extracomunitari e difficilmente potranno essere italiani.
Ecco allora che Air France, uscita di soppiatto dalla finestra in occasione del recente aumento di capitale, potrebbe ritrovarsi con la porta principale di Alitalia nuovamente spalancata.


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