Il referendum per la ratifica della nuova Costituzione egiziana terminerà oggi pomeriggio. Un appuntamento che sembrava il primo passo verso le elezioni parlamentari e presidenziali, che dovrebbero tenersi entro luglio. Almeno formalmente, la consultazione appariva come l’indizio di una ritrovata normalità, ma le tensioni alcune forze politiche e i militari continuano.
In conversazione con Formiche.net, Giuseppe Dentice, ricercatore dell´Istituto di studi di politica internazionale (Ispi), ha spiegato le novità della bozza per la nuova Costituzione, le differenze con la precedente, le speranze di riappacificazione del Paese, le reazioni politiche e il futuro della Fratellanza musulmana e le Forze armate e il ruolo determinante dell’economia.
Quali sono le possibilità che il referendum sulla Costituzione riappacifichi il Paese?
A dir la verità non sono molte. Infatti nonostante l’esito scontato del referendum – secondo il più recente sondaggio dell’Istituto Baseera il 74% degli intervistati è convinto dell’esito positivo – la tensione nel Paese non è destinata a diminuire nel breve periodo. Quel che preoccupa autorità locali e osservatori internazionali è il clima generale di confusione che sta agitando il Paese. Ci ritroviamo esattamente di fronte allo stesso scenario del 2012 quando venne approvata la Costituzione islamista. Se allora lo scontro era tra pro – e contro – la Fratellanza musulmana, oggi è tra pro – e contro – militari.
E come ha reagito la piattaforma islamista?
Ha chiamato gli egiziani ad un “boicottaggio di massa” delle urne e alla disobbedienza civile. Da settimane infatti si susseguono con regolarità cortei di cittadini e di gruppi di studenti che manifestano il loro sostegno a Morsi e che puntualmente vengono repressi dalle forze di polizia. Scontri e violenze che sono aumentate soprattutto dopo l’incauta decisione dell’esecutivo di porre fuori legge il movimento dei Fratelli musulmani e di arrestare circa 2.000 dei suoi sostenitori dopo l’attentato del 25 dicembre a Mansoura – in realtà rivendicato dalla cellula jihadista di Ansar Beyt al-Maqdis –, aumentando a dismisura il livello di animosità e di polarizzazione tra islamisti e filo-governativi.
Quali sono le principali novità della bozza della nuova Costituzione?
Sebbene la nuova Costituzione presenti diverse incognite, a detta anche di opinionisti liberali, il testo è un deciso passo in avanti rispetto alla precedente Carta fondamentale redatta sotto il governo Morsi. È innegabile che essa prevede un rafforzamento dei poteri dei militari e l’esclusione di partiti pro-islamici. Il testo in generale sembra essere una riedizione della Costituzione del 1971 più volte emendata sotto Sadat e Mubarak.
Quali sono le differenze rispetto alla precedente?
La nuova bozza ridimensiona la centralità del ruolo della sharia nel diritto egiziano e fornisce una maggiore garanzia dei diritti delle donne, delle libertà di culto e più in generale dei diritti civili e politici mostrando aperture in senso più liberale e libertario (ad es. il divieto di tortura o il divieto di discriminazione per religione, sesso, origini, razza o affiliazione politica). L’altra faccia della medaglia è rappresentata, tuttavia, dal consolidamento degli eccessivi privilegi dei militari. Il ministro della Difesa sarà nominato dal Consiglio Supremo delle Forze Armate godendo di una durata del mandato pari a 8 anni (due mandati presidenziali); il budget dell’esercito stesso sarà posto fuori dal controllo delle attuali e delle future autorità civili. Ma il punto più controverso – e quello anche più criticato dai liberali – è rappresentato dalle corti militari che manterranno il diritto di processare i civili in determinate circostanze non del tutto chiare. Quello che si evince è che la nuova Costituzione egiziana restaura di fatto il potere e i privilegi di cui l’esercito ha sempre goduto nel Paese dalla rivoluzione dei Liberi Ufficiali di Nasser e Neguib nel 1952.
Ci sono altre norme che generano polemiche?
Il vero punto dolente oggi in Egitto, più che la Costituzione, è la nuova legge sulle manifestazioni approvata e giustificata dal governo il 26 novembre scorso con la minaccia islamista e che vieta ogni manifestazione non autorizzata e punisce con il carcere i suoi partecipanti, rendendo più aspra la contrapposizione tra militari, religiosi e secolari. Un testo criticato non solo da ONG ed osservatori internazionali ma anche da membri dello stesso governo, tra cui il vice premier Ziad Bahaa al-Din.
Cosa succederà con i Fratelli Musulmani?
In questo clima di forte tensione è prevedibile che aumenterà ulteriormente il livello di scontro verbale e fisico tra militari e Fratellanza. L’articolo 74 della Costituzione proibisce chiaramente la formazione di partiti religiosi. Molti leader della Fratellanza sono stati arrestati e/o sono ancora ricercati. I beni della comunità religiosa espropriati, così come le loro attività culturali sono state espropriate dal governo. I simpatizzanti dei Fratelli musulmani godono di scarso consenso popolare anche tra coloro che non sarebbero loro ostili. In una situazione del genere è difficile pensare ad uno scenario positivo o ad una normalizzazione dei rapporti con le autorità centrali.
E qual è il futuro dei militari?
Il referendum sulla Costituzione altro non è che un referendum sugli stessi militari. Se al-Sisi ha salutato la nuova carta come “un ulteriore passo in avanti per il futuro dell’Egitto”, il voto non può che non essere un plebiscito sul potere rivisto e rafforzato dell’esercito. Potere che non vede scalfito minimamente la gestione degli interessi economici della classe militare egiziana. È innegabile che molto dipenderà non tanto dall’esito del voto del 14 e 15 gennaio – che appare scontato – quanto dalla portata stessa. Se questa sarà un successo netto è prevedibile che assisteremo a breve all’ufficialità della candidatura del generale Abdel Fattah al-Sisi alla presidenza della Repubblica e verosimilmente anche alla sua guida.
Quali sono le figure più forti nel panorama politico egiziano?
Sicuramente al-Sisi è il dominus assoluto della scena politica egiziana. Dalla sua al-Sisi, oltre a godere dell’appoggio popolare, può contare su un importante supporto politico delle monarchie del Golfo guidate da Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Kuwait. Ad eccezione dunque dell’unico vero grande leader nazionale e con l’esclusione forzata dei leader della Fratellanza musulmana come Badie e al-Shater, rimangono in gioco tutta una serie di personaggi “secondari”: l’ex segretario generale della Lega Araba e presidente della Commissione dei 50 saggi incaricati di redigere la Costituzione, il liberale Amr Moussa; il nasseriano Hamdeen Sabbahi; il mubarakiano Ahmed Shafiq, ultimo premier del deposto rais Mubarak e Mohammed al-Baradei, il quale comunque dovrebbe rimanere a Vienna vista l’accusa a sua carico di alto tradimento della rivoluzione del 3 luglio per aver denunciato la violenta repressione dei militari contro gli islamisti.
Si dice che la vera sfida dell’Egitto ora sia risollevare l’economia. Com’è la situazione e quali sarebbero le possibili soluzioni?
Il Paese dopo tre anni di instabilità e turbolenze politiche ha subito un grave tracollo economico e finanziario tanto da rischiare a più riprese il default. La scorsa estate le monarchie del Golfo sono giunte in soccorso politico e soprattutto economico del Cairo attraverso una promessa di un prestito da 12 miliardi di dollari suddivisi tra depositi di valuta estera, crediti finanziari vari e aiuti energetici (petrolio e gas principalmente visti i frequenti black-out e il fiorente mercato nero della benzina). Ma questo intervento esterno non basta e sono necessarie importanti riforme strutturali di carattere economico e finanziario: una riforma della spesa pubblica, maggiori liberalizzazioni, riduzione dei sussidi statali, misure utili a combattere la disoccupazione, soprattutto giovanile, e a contenere l’inflazione, una maggiore attrazione degli investimenti diretti esteri nel Paese, eccetera. È pur vero che senza una sostanziale stabilità politica qualsiasi passo verso l’uscita dal tunnel è sempre difficile.