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La magia di “Un matrimonio”. Parla Pupi Avati

L’ha ideata, scritta e accompagnata in televisione. Adesso, ne è orgoglioso. Non tanto per la portata di un lavoraccio simile – a quello è abituato – quanto invece per la sostanza. “Di matrimoni che durano da anni cibandosi di pane, amore e sacrifici ce ne sono più di quanti si possa immaginare. Un esempio? Il mio. Così, ho deciso di celebrarli con questo lavoro per la Rai”.

PUPI AVATI, TANTE DONNE E “UN MATRIMONIO” SOLO. LE FOTO PIU’ BELLE

Pupi Avati (75 anni) – sceneggiatore e regista di “Un matrimonio”, in onda domani sera in prima serata su Raiuno – a Formiche.net ha raccontato i segreti del suo “film per la televisione, a me piace chiamarlo così”, mette subito in chiaro. È un omaggio alla coraggiosa normalità coniugale, “senza grandi eventi”, aggiunge. Dall’idea, alla messa in onda, passando per le intere giornate trascorse sul set in compagnia di un cast eccellente che ha scelto personalmente. “È vero, Antonella Ferrari ha ispirato la mia Anna Paola”, conferma il regista nella conversazione con Formiche.net. Il suo è un racconto a tutto tondo, con l’occhio critico e innamorato di chi dirige la baracca, di un papà – nella vita e sul lavoro – che, quasi senza pudore, schernisce ed esalta la sua creatura, e a tratti anche se stesso.

Com’è nato il desiderio di raccontare sul piccolo schermo valori tradizionali, quali ad esempio l’amore coniugale e famigliare tra un uomo e una donna?
Ho sentito l’esigenza di parlare di matrimonio, proprio quando mi sono appropinquato a festeggiare i primi 50 anni del mio; avendo quindi una conoscenza sufficiente di questo istituto. Ne parla un sacco di gente ma, sono convinto che queste persone abbiano fatto esperienza solo della prima fase del matrimonio, del resto non ne hanno la minima idea.

Perché, esistono più fasi?
Certamente. La prima è ricca di cose negative.

Ma non dovrebbe essere quella più felice?
Stare accanto a un’altra persona espone a situazioni di dissenso, di scontro  e di sofferenza. Un marito e una moglie sono persone provenienti da mondi diversi. Poi, una variabile non indifferente, che pesa nell’equilibrio di una coppia sposata, è l’esterno dal quale provengono: stimoli, tentazioni e seduzioni nuove.

E allora, cosa succede?
Quello che vediamo se mettiamo il naso fuori di casa. Si buttano all’aria matrimoni, famiglie, unioni. La prassi a quel punto è giustificarsi dicendo “siamo sbagliati, abbiamo scherzato, lasciamoci”. Il bambino chi lo tiene? Generalmente lei, lui paga gli alimenti e così si pensa di essere a posto.

Invece?
Credo che di fronte al senso di noia, al litigio, alla scappatella non sia necessario infrangere quella promessa di vita insieme. Soprattutto se ci sono dei figli. Quando si decide di metterli al mondo, ci si impegna con loro. Gli si assicura un padre e una madre tutta la vita, salvo incidenti di percorso indipendenti dalla nostra volontà, s’intende.

In “Un matrimonio” c’è un po’ di tutto questo.
Sì, ho cercato di raccontare la quotidianità di una coppia, di una famiglia. Lo spunto ovviamente arriva per direttissima dalla mia storia e da quella dei miei genitori.

In quello che mi ha appena raccontato c’è quindi un pezzo del suo racconto autobiografico?
“Certamente. Prima le dicevo che sono arrivato a festeggiare 50 anni di matrimonio, ma non ho mai detto che sono stati idilliaci e senza problemi. Sono stati costellati da intralci e intoppi – soprattutto a causa mia – ma essendo io e mia moglie persone di buon senso li abbiamo superati e ci siamo sempre riappacificati.

Avrebbe mai potuto fare a meno di sua moglie?
Mai. Ma questo l’ho scoperto col tempo, non lo si intuisce dopo 7-8 anni e soprattutto non si arriva a tale consapevolezza senza passare in mezzo alle bufere, lasciandosele alle spalle dopo averle combattute insieme. Piano piano ci si rende conto che la propria donna è sempre più moglie, sempre più compagna, la persona che si desidera avere accanto per tutta vita. Più di qualsiasi altra. Insieme si impara ad essere coniugi e ci si scopre genitori.

Francesca (alias Micaela Ramazzotti) è una donna che annulla una parte di se stessa per la famiglia, per l’uomo che ama. Sua moglie incarna questo stereotipo di donna?
Sì, e ancora di più lo ha incarnato mia madre. Mia moglie è stata una compagna stupenda, una mamma eccellente. Se non ci fosse stata lei io non potrei annoverare così tante pellicole nella mia filmografia, né avrei tre figli meravigliosi come quelli che ho.

Perché ha scelto di fare un prodotto per la tv e non un film per il grande schermo?
Perché avevo bisogno di tanto tempo. Sei episodi sono pure pochi, avevo materiale per poterne fare dodici.

E perché non li ha fatti?
Non ci stavamo dentro con i costi. Ho dovuto insistere con la Rai già per andare in onda così.

Qual era il problema di mandare in onda “Un matrimonio”?
“Io l’ho proposta sei anni fa e mi hanno detto che era un po’ anacronistica. “Ma 50 anni di matrimonio chi li celebra più?”. Tanta gente oggi invece mi ringrazia e questo mi rende molto felice e soddisfatto”.

Cosa migliorerebbe dello sceneggiato?
Si può sempre migliorare. Anche quando si attacca un chiodo a un muro (ride, ndr). Il film non è perfetto, lo so, ma va bene così.

C’è un attore con il quale non ha lavorato e con cui le piacerebbe mettere in cantiere qualcosa?
Sono due, entrambi però non ci sono più. Mi sarebbe piaciuto lavorare con Alberto Sordi e Marcello Mastroianni ma non abbiamo fatto in tempo. Con quelli attuali penso che basterebbe chiederglielo.

È vero che quando scrittura un attore, gli scrive un monologo ad hoc per il provino?
Verissimo. Lo faccio perché, secondo me, gli attori non possono fare tutte le parti. Quindi scrivo qualcosa che possa essere nelle loro corde, che possa farli venire fuori per davvero.

Lei si diverte proprio a fare questo lavoro.
Sì, decisamente. Anche dopo così tanti anni (ride, ndr).

Cosa ha in serbo per il futuro?
Un film per la televisione. “Con il sole negli occhi” questo è il titolo. Racconta di una donna che aiuta un bambino siriano, arrivato a Lampedusa, a ricongiungersi con i suoi due fratelli che sono arrivati in Germania.

È una storia attualissima, quella dell’infanzia trascorsa in mezzo alla guerra.
Quando si arriva ad essere anziani ci si sente molto vicini ai bambini. Per me, in questo momento della mia vita, è così.

Un’ultima cosa. È arrivata la nomination all’Oscar per “La Grande Bellezza”. Che ne pensa?
È arrivata perché agli americani piace credere ancora in quell’immagine dell’Italia. Loro pensano di arrivare a Roma e trovare “la dolce vita”, anche se è finita ormai da 50 anni.



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