Con l’approssimarsi del 12 febbraio quando comparve il quotidiano ‘l’Unità’ che per 90 anni e’ stato il simbolo culturale e politico di intere generazioni di sinistra, si torna nel mondo ex-comunista a riflettere sul suo fondatore, Antonio Gramsci, ma oggi senza le “lenti deformate” di Palmiro Togliatti e grazie alla disponibilita’ di maggiori informazioni e di documenti. Su Gramsci recentemente sull’Unita’ si e’ soffermato Alfredo Reichlin.
Qui, di seguito, ospito volentieri, a tal proposito, la risposta di NOEMI GHETTI che, per l’occasione, ricostruisce la genesi della Lettera al padre di Carlo Marx.
“Senza la sinistra il mondo è a rischio”: dalle colonne dell’Unità, il 19 dicembre 2013 Alfredo Reichlin rispondeva alla crisi della democrazia italiana successiva al crollo del comunismo, e alle incognite che dopo l’elezione di Renzi alla guida del PD rimangono aperte, con la seducente proposizione di un “ritorno” a Gramsci. “Il vecchio non può più, il nuovo non può ancora” scriveva il leader sardo, riflettendo sulla transizione che rese possibile l’avvento del fascismo. Tradotto in termini attuali – Reichlin concludeva – il dilemma è questo: il dominio spietato della finanza globale non può più, un nuovo umanesimo non può ancora. È necessaria una nuova cultura di sinistra. Di nuovo sull’Unità il 10 gennaio 2014 Reichlin, nell’articolo “Il PD non può essere un profeta disarmato”, richiamandosi alle lotte del riformismo socialista e cattolico, auspica la fondazione di un partito nuovo in cui il cambiamento in difesa “dell’autonomia e della dignità della persona contro i meccanismi dell’alienazione” sia garantito dalla presenza cattolica.
Mancano pochi giorni al novantesimo compleanno del giornale fondato da Antonio Gramsci, e riteniamo doveroso ricordare come la presenza cattolica sia stata parte costitutiva della politica di Togliatti, ma all’opposto sia sempre stata esclusa dal pensiero e dalla prassi politica di Gramsci. Da questa istanza appunto la ricerca gramsciana si svolse lungo una linea coerente a partire dall’esperienza de ‘L’Ordine nuovo’ e dei consigli di fabbrica. Passando attraverso l’analisi della questione meridionale, e dell’alleanza della borghesia rurale con le masse contadine garantita dalla Chiesa, approdò infine nei Quaderni del carcere alla rivoluzionaria formulazione dell’idea di egemonia culturale come premessa alla formazione di un nuovo partito per la fondazione di un nuovo Stato. Un’idea di egemonia inconciliabile da una parte con quella con quella di Croce, il “papa laico, sacerdote della moderna religione storicistica”, e dall’altra con quella di Gentile, che la identificava con la dittatura. Gramsci fondava l’egemonia sul consenso attivo di chi è governato, ridisegnandola come democratico elemento di confronto e raccordo tra società civile e società politica.
Machiavelli e De Sanctis, che Reichlin ricorda, costituiscono soltanto punti di partenza privilegiati della ricerca gramsciana, per il fascino di un esercizio intellettuale connesso con la prassi politica l’uno, con l’impegno militante l’altro. Ma parlare di egemonia culturale oggi significa confrontarsi con l’idea di realtà umana, così come ci è stata consegnata dalla plurimillenaria storia della ragione e dalla religione. La questione si pone come la necessità storica del superamento dell’ideologia, condivisa dal logos greco e dal cristianesimo, della scissione e della cattiveria originaria degli esseri umani.
Nel feroce isolamento del carcere a cui era condannato da fascismo e comunismo, Gramsci continuava la sua strenua lotta di libero pensatore contro la scissione in tutte le forme in cui si presenta, da quelle politiche a quelle squisitamente linguistiche. Da quelle teoriche tra struttura e soprastruttura, dunque tra bisogni ed esigenze, a quella antropologica, che vuole la realtà umana composta di corpo materiale e ragione spirituale, e stabilisce l’inferiorità quanti, come le donne, di razionalità risultano storicamente meno provvisti. L’identità femminile e lo sviluppo dei bambini furono questioni a cui il grande pensatore sardo si mostrò sempre, nell’azione politica e in privato, molto sensibile e attento: aspetti regolarmente esclusi dall’icona ufficiale edificata sul falso mito della continuità tra Gramsci e Togliatti.
Pochi inoltre sanno che in carcere Gramsci si cimentava nella traduzione della Lettera al padre di Marx del 10 novembre 1837, perché solo nel 2007 i Quaderni di traduzione, esclusi dall’edizione critica Gerratana del 1975 come mere “esercitazioni”, sono stati finalmente pubblicati per la prima volta. Il diciannovenne della sinistra hegeliana vi dichiarava di avere fallito «la ricerca della natura spirituale altrettanto concreta, necessaria e solidamente fondata quanto la natura fisica» degli esseri umani, cadendo nelle braccia dell’idealismo. Mentre da Mosca la cupa “svolta” staliniana del 1930 si imponeva con l’appoggio di Togliatti, nella cella di Turi Gramsci ripartiva dalla necessità di portare alla luce del sole “la perla della perle” perduta da Marx. E proprio riferendosi alla Sacra famiglia, scriveva nei Quaderni che “quel qualcosa di reale” che innegabilmente esiste al di là della realtà materiale, non può essere definito un “noumeno” come in Kant, o un “dio ignoto” o “un inconoscibile”. Deve essere invece pensato come “qualcosa di ancora ‘sconosciuto’ che però potrà essere un giorno conosciuto quando gli strumenti fisici e intellettuali degli uomini saranno più perfetti”.
Completamente annullata dalla cultura ufficiale, la Lettera al padre di Marx del 1937 era stata nel frattempo riscoperta nel 1980 da Massimo Fagioli nel suo libro “Bambino, donna, trasformazione dell’uomo”. Ottanta anni sono trascorsi da quando Gramsci, rilanciando il proposito iniziale del giovane filosofo, scriveva queste righe. Dal 1971 la teoria della nascita di Fagioli propone l’origine della realtà mentale umana dalla realtà biologica, per trasformazione e senza il peccato originale della scissione. Scientificamente comprovata, la scoperta stabilisce l’uguaglianza originaria di tutti gli esseri umani, dando un contenuto certo a quella irriducibile “tendenza” che Norberto Bobbio indicava come la caratteristica specifica della sinistra. Il nuovo umanesimo è già qui, alla portata di tutti. ( di Noemi Ghetti)