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Siria, perché Obama ci tiene tanto alla conferenza a Montreux

Questa conferenza s’ha da fare. Quindi, cari ribelli, partecipate o vi scarichiamo in modo definitivo. Questo è il messaggio, neppure troppo velato, mandato dalla Casa Bianca ai ribelli siriani, che di partecipare alla Conferenza internazionale prevista in Svizzera per il prossimo 22 gennaio proprio non ne vorrebbero sapere. Il segretario di Stato americano John Kerry ha incontrato a Parigi Ahmad Assi al-Jarba, il presidente della Coalizione Nazionale Siriana delle forze dell’Opposizione e della Rivoluzione, cioè l’organo che i paesi occidentali riconoscono come interlocutore, e gli ha detto che il sostegno da parte degli Stati Uniti potrebbe diminuire se la Coalizione Nazionale non prenderà parte ai negoziati. Così riporta il New York Times.

Il problema è che la Coalizione Nazionale si sente già poco sostenuta dagli Stati Uniti. E, contemporaneamente, teme di perdere quel poco di autorevolezza che le rimane sul territorio siriano. Organo politico che fino a qualche tempo fa godeva di un ampio sostegno diplomatico a livello internazionale, sui campi di battaglia la Coalizione Nazionale conta ben poco. Nella guerra contro Assad ormai la parte del leone la fanno gli islamisti dell’ISIS e di al-Nousra, che non riconoscono la Coalizione. Invece il più moderato Esercito Siriano Libero, che qualcuno dava per spacciato ma ha ripreso un po’ di terreno ultimamente, fa parte della Coalizione. Ma ha già fatto sapere di non sostenere i negoziati. Non solo: l’Esl continuerà a combattere anche durante i giorni della conferenza.

Perché Obama vuole tanto questa conferenza di pace e invece i ribelli non la vogliono? La questione è complessa, ma può essere riassunta, a grandi linee, in due punti: da un lato, gli Usa vogliono chiudere al più presto il dossier Siria; dall’altro lato, in questa fase, la situazione è sbilanciata a favore di Assad, sia sul campo che a livello diplomatico, e dunque i ribelli temono che partecipare a una conferenza di pace adesso significherebbe darla vinta al regime. Un timore non del tutto fuori luogo, anche perché Assad ha buone possibilità di restare al potere.

La “frettolosità” di Obama e i dubbi dei ribelli su uno sbilanciamento dei negoziati a favore di Assad, poi, sono due facce della stessa medaglia. Obama non ha mai avuto esporsi più di tanto in Siria e il suo sostegno ai ribelli è sempre stato tiepido: mandava solo assistenza “non letale”, che poi è stata in buona parte sospesa. Da un lato Obama temeva una nuova guerra in stile Iraq, dall’altro aveva paura degli estremisti tra le fila dell’opposizione.

A questo va aggiunto che proprio mentre Assad iniziava a consolidare la sua posizione militare e diplomatica (da quando ha accettato di smantellare l’arsenale chimico è tornato, giocoforza, un “interlocutore credibile” per la comunità internazionale), i gruppi più estremisti dominavano sempre più la scena dell’opposizione. Per esempio l’ISIS, ispirato ad al-Qaeda, che è stato protagonista di azioni anche in Libano e in Iraq. Messe insieme, queste due cose hanno rafforzato la convinzione di Obama che sostenere i ribelli è pericoloso e che, contemporaneamente, trovare una soluzione che permetta ad Assad di restare sia il modo più veloce di porre fine al conflitto in Siria. O, se non altro, a dare l’impressione di volerlo fare… perché, nei fatti, quanto possa reggere una situazione in cui è Assad a governare resta tutto da dimostrare.

Di fatto l’Occidente ha “scaricato” i ribelli già da tempo. Stando alle indiscrezioni diplomatiche, i servizi segreti europei avrebbero già ripreso i contatti col regime siriano per collaborare sull’anti-terrorismo, e pure gli americani ci starebbero pensando. Persino la Turchia, tra i paesi più coinvolti nella lotta contro Assad, potrebbe ricalibrare la sua politica siriana. E se i negoziati paiono così sbilanciati a favore del regime, è anche per questo: da un lato Assad può contare su un sostegno deciso da parte di Russia e Iran, che si guardano bene dallo “scaricarlo”, mentre dall’altro i ribelli sono praticamente da soli.

Anna Momigliano è caporedattrice della Rivista Studio, scrive per Panorama.it e ha pubblicato recentemente  Il Macellaio di Damasco. Bashar al Assad, biografia di un tiranno che non voleva esserlo” (VandA epublishing, 2013)


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