Quando si parla di Fiat è sempre necessario ricordare alcune cose.
Primo: nel 2004-2005 Fiat era praticamente fallita e senza l’operazione Chrysler oggi sarebbe probabilmente solo un pezzo di storia italiana.
Secondo: l’operazione Chrysler è stata resa possibile dalla capacità negoziale e gestionale del management Fiat, ma anche dal fatto che Torino aveva le tecnologie eco sostenibili richieste dall’Amministrazione Obama.
Terzo: in questi anni Marchionne ha investito in Italia soprattutto per rifare Pomigliano dove si produce la Panda e l’ex Bertone di Grugliasco dove si producono le Maserati. Quindi Landini sbaglia quando dice che Fiat non ha investito in Italia, anche se è vero che il mitico piano Fabbrica Italia da 20 miliardi di investimenti è stato rallentato sia per la crisi del mercato europeo sia per completare l’acquisizione di Chrysler.
Oggi si apre un capitolo nuovo. Fiat-Chrysler sarà quotata entrò l’anno e avrà le risorse per nuovi investimenti, soprattutto per il rilancio delle Alfa Romeo che si costruiranno in Italia per tutto il mondo come ha confermato Marchionne da Detroit.
L’Italia diventerà sempre più una piattaforma per produrre ed esportare auto di qualità e rosicchiare quote di mercato nei segmenti a più alto valore aggiunto. Questa è la sfida che l’Italia deve saper raccogliere. Ed è tempo perso polemizzare su dove sarà quotata Fiat-Chrysler o dove avrà la sede legale.
Una multinazionale deve fare queste scelte seguendo le convenienze finanziarie, legali e fiscali. La produzione invece è un’altra cosa. Noi italiani siamo stati e siamo ancora capaci di costruire auto di qualità che possano per di più fregiarsi del marchio Made in Italy.
È appena il caso di ricordare che Gran Bretagna e Spagna, senza un’impresa automobilistica a controllo nazionale, producono più auto di noi. Ci sono dunque tutte le condizioni perché noi, con una Fiat-Chrysler a controllo nazionale, riprendiamo a produrre più di loro.