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La lungimiranza di Renzi e Berlusconi

Il patto della concordia democratica autorevolmente sottoscritto a via del Nazareno, nella sede del Pd, è a favore di un impegno a riprendere la via politica della ragionevolezza. Non è contro nessuno, anche se le resistenze biliose non sono mancate e potrebbero addirittura moltiplicarsi. I capi dei due maggiori partiti hanno convenuto che una guerra civile infinita fa male al paese, alle sue istituzioni e allo stesso pulviscolame partitico che si contorce in una liturgia del no e ha perduto il senso delle proporzioni e della propositività che, in politica, è l’unica regola che porta frutti e non soltanto recriminazioni.

Invertendo parecchi giudizi contrari, Renzi e Berlusconi hanno compiuto il loro dovere di responsabili, consapevoli che i loro seguiti politici ed elettorali (superiori alla metà del popolo votante) non possono continuare a contrapporsi in una rivalità eterna per pregiudizio ideologico e litigiosità su tutto, anche su quelle questioni che dovrebbero restare estranee a qualsiasi processo trasformatore e riformatore dello Stato e della sua architettura riguardante tutti i cittadini.

Accantonando gli opportunismi di quanti avevano interamente impostato il proprio gioco sullo sfruttamento farisaico e immondo di un giustizialismo giudiziario elevato a sistema di discriminazione assoluta e di governo moralistico e crudele, gli indubitabili condottieri dei due maggiori partiti nazionali hanno convenuto che invertire il verso delle prospettive negative dell’Italia è possibile. Come? Se si riparte – come nel 1946, vorrei dire ai più giovani – sapendo di essere diversi ma non di doversi mantenere necessariamente, sempre e ad ogni costo, nemici, conservatori di uno status agitatorio che non fa crescere erba di contenimento democratico sulle due rive di un fiume composto della medesima acqua di cui si abbeverano gli eserciti contrapposti.

Il 18 gennaio 2014 va, dunque, registrato fra le date fauste della nostra storia nazionale. Che, invece, è ricca di giornate infauste che sembrano non insegnare nulla di positivo e comunque vengono celebrate sovente più con rassegnazione che con orgoglio, giacché, sistematicamente rammentano la sconfitta di tutti, non la vittoria autentica di qualcuno. Oggi dovremmo festeggiare la fine della politica delle contrapposizioni insanabili e un nuovo inizio. Avendo la consapevolezza che non si tratta di proseguire distruggendo le grandi regole della democrazia (per le quali s’impone il massimo possibile di convergenza) ma iniziando dalle piccole regole (certo non secondarie) della gestione politica e parlamentare, dove la pluralità delle opinioni è la norma regolatrice e vivificatrice della democrazia.

Anche chi dissenta dalle intese di via del Nazareno dovrà ammettere la lungimiranza delle ispirazioni che le ha mosse. Avendo coscienza che l’altra via su cui si puntava – privilegiare la piccola coalizione di sostegno al governo Letta, nato peraltro nove mesi orsono in nome della pacificazione nazionale dopo il ribellismo piddino che aveva fatto saltare le teste di Marini e di Prodi – ha obbiettivamente il respiro corto e, sostanzialmente, rappresenta una parte minoritaria degli eletti nella XVII legislatura.

Considerati la irriducibile rissosità, non soltanto politica, italiana e l’agitazionismo come strumento d’azione permanente, forse neppure il patto del 18 gennaio basterà a contenere rivalità, orgogli mutilati, distruttismi. Proprio su questi punti si misurerà la capacità dei ritrosi a dimostrare di essere classe dirigente o a rimanere preda di un poltronismo irriguardoso dei cittadini elettori. I quali non possiedono da tempo, purtroppo, alcuno scettro e, dunque, alcuna capacità d’incidenza nelle scelte concernenti il loro presente e il loro futuro.



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