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Lettera aperta al PD: Renzi e Cuperlo, passando per la legge elettorale

Ho letto articoli interessanti di altri militanti e rappresentanti dell’Assemblea Nazionale (AN) del PD sul caso della votazione della proposta di modifica alla legge elettorale di ieri in Direzione Nazionale (DN).

Ho molte perplessità sia sullo scambio di lettere tra Renzi e Cuperlo di questi minuti (è una soap?), sulle modalità con cui si è arrivati alla conclusione delle trattative Renzi-Berlusconi e su come è stata fatta la votazione.

Ci eravamo tanto amati? (od odiati in silenzio)

Amici sostenitori di Cuperlo e amici sostenitori di Renzi, io ho sostenuto Civati e non mi definisco un “civatiano”, non ho fatto nessun voto di fiducia e lealtà a Civati ma ho condiviso le sue idee e tanto mi è bastato per sostenerlo e per continuare a farlo, fino a quando la cosa non mi costa.

Ho letto con attenzione le due lettere dell’ex Presidente e del Segretario e che dire, non mi hanno particolarmente colpito né interessato. Mi sembra una cosa assai banale e una smania da reality-show che speravo fosse morta, ahimé sbagliavo.

Sul senso dell’astensione

La mia critica inizia con l’astensione dei “cuperliani e civatiani” sulla votazione in DN della proposta di Renzi.

Cuperlo ha detto: non mi piace e ha argomentato.

Civati ha detto: mi scontenta, e lo ha argomentato. 

Ebbene, da spettatore mi sono detto: “allora saranno i renziani a votare a favore e gli altri contro

Sorpresa: si astengono!

Mi fanno notare che l’astensione ha un messaggio politico rilevante e che non significa affatto “non schierarsi” ma “tenere lontano da sé” un qualche cosa che non ci aggrada. Allora partiamo dall’etimologia della parola che mi aiuta comunque: perché mai dovrei tenere lontano da me una decisione che mi dovrebbe invece appartenere? Perché devo dire “né sì, né no” ad una proposta di legge che poi, invece, dovrei sostenere e difendere?

Ci si può astenere su tante cose, lo faccio anche io. Ma in ambiti di decisione come la DN il senso dell’astensione mi profuma di “ritirata” o per lo meno di non volontà di imporsi. Mi fanno allora notare che abbiamo “perso” e che Renzi ha vinto. Va bene, ma questo a me cosa dovrebbe comportare? Ha vinto Renzi, ma io sono stato scelto per delle idee e posizioni “altre”: non ci voglio proprio rinunciare.

Bhe, ma si deve essere coerenti e uniti: appunto, quindi coerentemente con il mio intervento di dissenso, non voto né a favore, né mi astengo. Voto contro dato che ho giustificato le mie posizioni e chiedo che, per avere il mio accordo, si cerchi di modificare un minimo l’aspetto che reputo “insoddisfacente”.

Mi fanno notare, giustamente, che è facile dall’esterno prendere un posizione simile. Verissimo, proprio per questo approfitto e faccio questo ragionamento.

Sulla prepotenza di Matteo Renzi

Il timore che avevo (che ho) e che temo sia diventato concretezza, su Matteo Renzi era proprio il suo essere “leader-centrico” e dunque di essere molto “impositivo” e non “propositivo”. L’AN che senso ha se poi le scelte le prende lui a porte chiuse con Berlusconi (e come ho già detto ha fatto bene ad incontrarlo) o con Alfano o con Grillo? Che senso che l’AN e la DN se poi lui arriva con il suo pacchettino non emendabile (come dice Cuperlo) chiedendo solo: siete con me o contro di me?

Il PD non deve diventare un partito personalistico altrimenti siamo giunti alla conclusione (amara, per me) dell’esperienza “democratica”. Non ci sarà alcun salto socialdemocratico, ammesso che lo si voglia (io fortemente).

Dialogare, partecipare e contare

Il Leader, nella mia concezione di guida, è un ruolo che “sintetizza” posizioni differenti e lo fa ascoltando, dialogando, facendo partecipare i componenti del partito, gruppo, associazione, quello che è, al processo decisionale, pur essendo lui, alla fine, quello che “decide”.

Ma il “decidere” non coincide con “imporre” e questo è tipico forse dell’approccio Berlusconiano e Bossiano di vecchia memoria (duri a morire) ma non all’approccio di un grande partito di centro-sinistra che si vuole chiamare “democratico”. Allora togliamo l’assemblea degli eletti, dimezziamo la direzione nazionale e lasciamo Renzi e altri suoi eletti a decidere. A che serve l’assemblea se lui decide e noi (io non ci sono dentro) dobbiamo solo dire: “grazie dell’impegno, obbediamo” ?

Conclusione? Renzi ha fatto bene a contattare Berlusconi, visto il niet di Grillo, ma ha sbagliato le modalità della costruzione dell’accordo perché non è stato concertato niente del pacchetto che lui ha (spontaneamente) presentato all’avversario.

L’AN forse doveva essere fatta prima dell’incontro con Mr. B e gli aspetti salienti e immodificabili decisi in quel consesso. Poi, allora, si poteva giustificare un voto favorevole o contrario e anche un’astensione se a seguito delle trattative con Berlusconi e Alfano, certe cose venivano modificate o contrastate.

Oggi, questo pasticcio non ha fatto altro che rendere ancora più fumosa la situazione, a far percepire un partito in confusione, che si fa i bisticci con dimissioni date sulla scia di un’emozione (sbagliata) a dispetto della capacità di “contare” e “cooperare”. Si presenta un partito che vuole diventare leader-centrico e si perdono i valori fondamentali della Politica (la mia idea) come “partecipazione”.

Allora, dico che a tal proposito, dovrebbero essere gli iscritti al PD a decidere se questo pacchetto approvato in DN è davvero presentabile e difendibile. Questo è democratico: prendiamo esempio dalla SPD che ha sottoposto una decisione fondamentale al proprio bacino di militanti (non a tutti indiscriminatamente).

Allora sì, giustificherei l’astensione: noi ci asteniamo, perché essendo una minoranza non vogliamo compromettere l’esito delle trattative, però lasciate che la nostra base (che dovrebbe essere tutta col segretario o quasi) decida definitivamente.

Era poi responsabilità di Renzi dire sì o no allo strumento, giocandosi la faccia, come dice lui.

Insomma, che pasticcio.


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