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Monte dei Paschi, Popolare di Milano & Co, perché Saccomanni ha un sacco di problemi (non solo con le banche)

Il ministero dell’Economia provoca un misto di gioie e dolori, si sa. Molto meglio essere titolare del Tesoro in anni di vacche grasse per la finanza pubblica e non quando Bruxelles e Francoforte dettano agende e tempistica. Ed è più agevole il lavoro del ministro dell’Economia quando c’è crescita economica e non una recessione che fiacca i consumi, deprime le aziende e fa preoccupare pure le banche in sofferenza.

LE BARUFFE POLITICHE

Forse per questo, di questi tempi, si preferiscono tecnici a politici al dicastero di Via Venti Settembre. Ma forse perché non politici – seppure autorevoli e con relazioni internazionali riconosciute – l’attuale inquilino del Tesoro è più sballottato del solito. E non solo perché il forzista Renato Brunetta scaraventa ogni giorno con il suo Mattinale stilettate, ironie e critiche palesi a Fabrizio Saccomanni, ministro dell’Economia proveniente dalla Banca d’Italia, dove è stato direttore generale. E non solo perché sulle imposte sulla casa, dopo un ponderoso e analitico rapporto degno dei migliori uffici studi in cui tra l’altro emergeva la contrarietà all’abolizione dell’Imu invocata da Silvio Berlusconi, il papocchio è evidente. E non si sta neppure parlando di qualche scivolata comunicativa, frutto forse di una bonarietà di approccio da parte di Saccomanni che a volte svela un profilo umano di spessore dagli imprevedibili e non eccelsi effetti mediatici, sovente corretti da interventi pacificatori di Palazzo Chigi (basti pensare alla questione degli scatti per gli insegnanti scolastici in cui quasi tutti hanno rivestito il ruolo di finti gnorri, compreso il titolare dell’Istruzione).

I MUGUGNI DEL MONTE

No, la questione è diversa e per certi versi più grave. Le parole di Alessandro Profumo, presidente di Mps, indicano una novità non secondaria. Se il presidente di una delle principali banche avverte l’esigenza in una intervista, come quella rilasciata al quotidiano la Repubblica, di stimmatizzare apertamente il titolare del Tesoro, peraltro già direttore generale della Banca d’Italia, nasce un conflitto che non si può derubricare al carattere franco e dunque a volte urticante del banchiere già ai vertici di Unicredit. Perché se Profumo critica apertamente il ministro dell’Economia, che ha la vigilanza sulle fondazioni bancarie, per un atteggiamento considerato troppo morbido rispetto ai no dell’ente senese presieduto da Antonella Mansi, che ha bocciato la tempistica dell’aumento di capitale progettato dai vertici della banca, si apre un conflitto inedito. Anche perché quelle parole sono indirettamente un segnale inviato anche alla Banca d’Italia, da dove proviene Saccomanni.

LE CRITICHE POPOLARI INDIRETTE

In questo contesto, non va sottovalutata neppure un’iniziativa che per forse per il tema ritenuto troppo tecnico non ha avuto particolare riverbero sulla stampa cartacea, a parte un articolo sul dorso finanziario del Sole 24 Ore durante lo scorso fine settimana. Stiamo parlando della lettera che diversi presidenti di commissioni parlamentari hanno inviato alla Banca d’Italia e per conoscenza a Saccomanni e Lettae che Formiche.net ha pubblicato integralmente – per criticare una recente iniziativa dell’Istituto centrale. La Banca d’Italia governata da Ignazio Visco ha infatti avviato una consultazione sulla governance della banche che ha destato alcuni interrogativi. In particolare nel documento di consultazioni si farebbero passi non previsti da fonti normative superiori riguardo alle banche popolari. Da qui la sonora reprimenda della lettera dei parlamentari che hanno sollevato perplessità di merito e di metodo alla Banca d’Italia e l’hanno inviata per conoscenza anche a Saccomanni.

LE DISTONIE RAGIONIERISTICHE

Infine, ma non per ultimo, anche la coesione che ci si aspettava al Tesoro, dove sono arrivati dirigenti e professionalità dalla Banca d’Italia, su indicazione di Saccomanni, non è quella che era stata prevista e da alcuni auspicata. Un recente articolo di Stefano Cingolani sul settimanale Panorama racconta con dovizia di particolari quanto scarsa sintonia ci sia tra la Ragioneria generale dello Stato, ora retta da Daniele Franco che arriva dalla Banca d’Italia, e il commissario per la spending review, Carlo Cottarelli.



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