Dopo l’accordo siglato tra Matteo Salvini e Marine Le Pen per le prossime elezioni europee a maggio, i commenti non sono mancati e mi è capitato di leggerne alcuni il cui catastrofismo è davvero fantastico.
Fantastico non solo nell’accezione di quel genere di narrazione letteraria basata su elementi e dati fuori dalla realtà ma anche nel senso che chi li ha formulati è stato un bravissimo catastrofista.
Cominciando da quelli che definiscono la scelta del nuovo Segretario della Lega una sorta di ultima spiaggia per evitare il definitivo declino del Movimento, si passa a chi legge in questa decisione una deriva nazionalista perché il Carroccio si è arruolato nella “brigata di Le Pen” . Infine, prima di approdare a singolari parallelismi che evocano i “tea party europei” non sono mancate le solite inflazionate etichette di populismo, estremismo e razzismo.
Da “vecchia” militante leghista quale sono, in tutti questi anni, ne ho sentite talmente tante e di tutti i colori che alla fine mi è scappato anche il sorriso.
E mi perdoneranno, quindi, gli autorevolissimi commentatori, di cui rispetto le legittime opinioni, se questo mio contributo non è la risposta alle loro analisi, ma, per onor di chiarezza, è rivolto gli elettori che essendo i veri protagonisti e giudici di questa tornata elettorale la cui importanza è cruciale, devono avere le idee molto chiare visto che si giocano non solo il loro futuro, ma quello delle generazioni a venire.
Per questo motivo, è mio dovere evidenziare le premesse e le motivazioni che hanno portato Matteo Salvini e Front National ad unirsi nella battaglia europea. E temo, per gli strateghi dell’euroburocrazia, che al sodalizio se ne aggiungeranno altri.
Una battaglia, quella della Lega, che a differenza di quanto molti vorrebbero far credere, o probabilmente pensano, non nasce a valle per mere opportunità elettorali alla stregua di una zattera di salvezza, ma a monte, – e non da ieri per chi non se ne fosse accorto – dal territorio, dall’economia reale, fatta di persone e piccole imprese che da anni sono allo stremo delle forze, in condizioni di straziante difficoltà grazie ad uno Stato praticamente fallito, perché incapace di applicare i Principi Fondamentali dettati dalla Carta Costituzionale disattivata dai Trattati Europei e totalmente indifesa da Roma, prona ai diktat di Bruxelles grazie al formidabile strumento dell’euro.
Per chi non se ne fosse accorto, infatti, la moneta unica rappresenta il miglior metodo di governo attraverso le crisi, periodi in cui, con la scusa dell’emergenza, per affrontare gli shock esterni, data l’impossibilità alla sua svalutazione, impone, in nome della competitività nel mercato globale, quella di salari, stipendi, diritti, welfare e soprattutto democrazia.
“Indipendenza da Roma e da Bruxelles” non significa tirar su dei muri. Vuol dire liberarci dai vincoli europei e dalla morsa centralista romana divenuta sempre più pressante proprio per rispettare i dettami di Bruxelles.
La scelta del neo Segretario della Lega è stata quindi il logico approdo alla fine di un percorso nato dall’ascolto diretto delle drammatiche istanze dei cittadini, dal lavoro delle nostre sezioni che da lungo tempo organizzano incontri con tecnici ed economisti per comprendere ed informare e dalla sua lunga esperienza politica nazionale ed europea.
Se si ama e si vuole davvero l’Europa dei Popoli – e non delle multinazionali, delle banche e dei burocrati al loro servizio – non si è quindi né populisti, né anti-europei, né estremisti. E’ proprio l’esatto contrario.
Se populista significa essere dalla parte del Popolo, della democrazia di cui la Ue gravemente difetta, allora ringraziamo con orgoglio chi bolla la Lega con questo aggettivo.
E se essere anti-europei vuol dire combattere la Ue (che non è l’Europa, non ha nulla di europeo, ma molto di finanziario) allora, si, lo siamo.
Se voler difendere la propria gente dal fenomeno dell’immigrazione incontrollata è essere razzisti, beh, fate voi.
Non si può raccontare ai popoli di un fantomatico Sogno Europeo degli Stati Uniti d’Europa, quando la realtà descrive tutt’altro film (dell’orrore) soprattutto quando chi lo propugna sa benissimo che questa Unione proibisce la solidarietà perché concepita sulla competitività che favorisce la svendita, il fallimento, la morte di intere economie d’eccellenza come la nostra e cancella storia, cultura, tradizioni, identità di un Continente culla ed esempio di civiltà e democrazia al resto del mondo.
Di fronte a questo quadro, milioni di cittadini italiani ed europei hanno ben chiaro a cosa serve l’euro: a “Morire per Maastricht”. Quella delle banche, del neoliberismo sfrenato dove chi fa da padrone sono le lobby finanziarie a cui non importa nulla delle reiterate sevizie ad intere Nazioni, perché nella logica del Mercato c’è il profitto.
Nulla in contrario al capitalismo nel quale sono cresciuta. Ma quello in cui sono nata io aveva regole e limiti che hanno garantito ai miei genitori di lavorare, metter al mondo dei figli, comprare casa e farmi studiare.
A qualcuno sembra che tutto questo oggi sia ancora possibile? Dov’è il Sogno?
Per questo l’unica via obbligata affinché si possa iniziare ad uscire da questa disastrosa situazione che di “luci in fondo al tunnel” ha solo quelle dei ceri dei cimiteri, resta l’abbandono dell’euro.
Se la casa brucia, bisogna spegnere l’incendio.
Solo dopo essersi “ripresi le chiavi di casa” ogni Popolo deciderà come ricostruire e dipingere le proprie pareti. In autonomia e sovranità.