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Alitalia, Snam e banche italiane, perché Letta punta sul Golfo

La missione di Enrico Letta nel Golfo segna il tentativo da parte dell’Italia di raggiungere accordi strategici con i Paesi del Golfo, spostando l’asse della propria agenda geopolitica di diversi gradi e determinando così un salto di qualità nella politique arabe di Roma.

In passato i rapporti con capitali islamici erano riconducibili al rapporto forte della Prima Repubblica con la Libia sia sul piano dei vertici politici (Andreotti) sia sul piano dei vertici creditizi domestici (Geronzi). A suggerire il “colpo di goniometro”, anche a dispetto di incognite come il rimescolamento degli equilibri sunniti-sciiti in Medio Oriente, è con ogni probabilità la sopraggiunta inadeguatezza dei capitali provenienti dall’arco di instabilità nordafricano ad assicurare un puntello finanziario al Belpaese.

Poiché la partita riveste una centralità strategica rilevante, in ballo, oltre a Alitalia-Etihad, vi sono investimenti infrastrutturali e rivolgimenti nel panorama bancario domestico. La trattativa Alitalia-Etihad di questi giorni si contraddistingue in particolare per il sincronismo con altre partite dove si potrebbe registrare un matrimonio tra investitori del Golfo e soggetti italiani. Cerimonie multiple, sodalizi che potrebbero essere celebrati nel tempio del capitalismo di Stato italiano: Cassa Depositi e Prestiti (CDP).

La società di via Goito, camera di compensazione tra poteri statuali, salotti privati e circoli esclusivi, è la prima ipotesi al vaglio dei ricchi fondi sovrani del Golfo. Ad attrarre questi ultimi è la natura del colosso controllato dal Tesoro, “capitale paziente” abituato a valutare investimenti a lungo termine secondo una longue durée propria di questa categoria di investitori. Nell’immediato si potrebbe schiudere a investitori levantini il capitale di CDP Reti, sub-holding di CDP che per ora ha in pancia una quota di controllo in SNAM, e che a breve potrebbe aggiungere al proprio paniere partecipativo anche Terna. Il vertice di CDP, in maniera forse non casuale, si è preso qualche giorno in più per individuare l’acquirente del 49% all’interno di una rosa dove non manca una candidatura del Golfo.

A chi si occupa di fondi sovrani e dintorni non è inoltre sfuggito il ricorso al Fondo Strategico Italiano (FSI) per mettere in piedi joint venture con fondi sovrani stranieri. Questo schema, utilizzato con il fondo sovrano del Qatar e replicato con quello russo, potrebbe divenire un modello di riferimento se considerato efficace dagli investitori.

L’ingresso nella galassia CDP consentirebbe infine ai mediorientali di familiarizzare con le fondazioni bancarie, a lungo pilastro fondamentale dell’architettura banco-finanziaria del Paese. Con alcune, i petro-sceicchi hanno già acquisito una certa consuetudine, visto ad esempio che il fondo Aabar di Abu Dhabi in Unicredit condivide il condominio azionario con la Fondazione CRT e Carimonte. Con diverse altre potrebbero stringere rapporti più stretti, soprattutto se Banca d’Italia e Asset Quality Review sanciranno nuovi rafforzamenti patrimoniali (leggi: aumenti di capitale) per le banche italiane e l’impossibilità quasi certa per le fondazioni di prendervi parte.


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