Viene dall’Ucraina il magnate d’Oriente che fa affari con Luca Cordero di Montezemolo. E che da Montezemolo ha acquistato Octo Telematics, un gioiellino hi-tech che produce scatole nere assicurative. Octo Telematics è uscita dal raggio di azione di Charme Investments ed è finita nelle mani di Viktor Vekselberg, che ha sbaragliato almeno una ventina di aspiranti compratori.
Ma chi è Viktor Vekselberg? Innanzitutto un uomo schivo, che non ama esporsi. Quando un giornalista britannico l’estate scorsa gli aveva chiesto il perché di questa scelta di basso profilo, lui aveva risposto: “Lei crede? Io invece ritengo di essere fin troppo presente sui media: sono un uomo di affari, non un politico. Non dovrei aver alcun tipo di visibilità”. Ma per l’amico Montezemolo qualche eccezione l’ha fatta: e si è fatto vedere al cocktail di inaugurazione del corner Ballantyne dentro Gum, la Rinascente di Mosca, nel maggio del 2013. Che sia Ballantyne, controllata da Charme Fashion Group di cui Vekselberg possiede il 49%, la prossima vittima della campagna acquisti russa?
UN PAPERONE CHE VIENE DALL’UCRAINA
Tutto è possibile se sei l’uomo più ricco di Russia, l’oligarca tra gli oligarchi, con un patrimonio di 18 miliardi di dollari. Secondo il Bloomberg Billionaires Index, il 56enne è 40esimo al mondo quanto a patrimonio. Ne ha fatta di strada il buon Viktor, nato il 14 aprile 1957 a Drogobych, nella regione di Lviv in Ucraina, vicino al confine polacco. La sua era una famiglia normale, che viveva in un appartamento modesto. Entrare nella nomenclatura era al di là di ogni possibile sogno.
A 22 anni però il ragazzo si laureò con lode in ingegneria informatica all’Istituto di ingegneria per i trasporti ferroviari di Mosca (Miit), e poi ottenne un master in matematica e fu subito assunto in un laboratorio di Stato.
STORIA DI UNA SCALATA
Chimica, alluminio, petrolio, telecom. Un impero finanziario costruito un passo alla volta: il suo primo milione di dollari Vekselberg lo guadagnò vendendo i residui di rame dai cavi usurati. Nel 1990, a 33 anni, fondò Renova, oggi uno dei principali investitori strategici e stakeholder di grandi imprese russe e internazionali. Nel 1996 creò la holding Sual che undici anni dopo, attraverso la fusione con Rusal e Glencore, è diventata il più grande produttore di alluminio al mondo, la United Company Rusal.
Nel 1998 insieme a Mikhail Fridman di Alfa Group e Len Blavatnik di Access Industries, diede vita al consorzio Aar (Alfa-Access-Renova), che acquisì Tyumen Oil (Tnk), una delle maggiori aziende petrolifere russe. Nel 2003, il magnate riuscì a chiudere una profittevole joint venture con British Petroleum. Tutto ciò che tocca lo trasforma in oro. Ma tiene sempre un basso profilo, nessuno sgarro, mai un pettegolezzo, non una vanità. Marina, sua moglie da sempre, gli ha dato due figli: Irina, una 35enne con la testa sulle spalle, che ha passato la vita sui libri. Laurea in Matematica applicata al Babson College, Mba a Yale, carriera nell’investment banking. Suo fratello minore Aleksander, che di anni ne ha 25 anni, è a Yale e anche lui promette faville, ma sempre senza urlare.
IL PREZZO DELLA RICCHEZZA
E questo tenersi ai margini è una scelta che ha un senso: essere ricchi in Russia non è garanzia di una vita lunga e di successo. Anzi. La regola di base è che ciascuno può tenere la sua fortuna, se non ficca il naso in politica. Mikhail Khodorkovsky: fiero oppositore di Putin e fondatore di scuole per formare le nuove generazioni, soprattutto meno abbienti, al pensiero critico, ne è un esempio. A gennaio ha ricevuto la grazia dopo dieci trascorsi in un carcere della Siberia, condannato per frode fiscale. Ad altri tycoon dissidenti è andata peggio, e sono stati trovati morti in circostanze misteriose. Meglio essere invisibili, per non essere intercettati.
UN RAFFINATO FILANTROPO
Quindi è solo una situazione di comodo? O in realtà il nostro uomo è un furbo stratega che non vuole rischiare? E magari è anche un pacchiano, arrogante scalatore sociale? Nulla di tutto ciò. Sobrio, elegante, quasi sotto tono, anche nei modi oltre che nell’abbigliamento scarno, così lo descrive chi lo ha incontrato. Una tallone d’Achille, però, ce l’ha: l’arte. Possiede una vasta collezione il cui pezzo forte sono nove uova Fabergé comprate dalla famiglia Forbes nel 2004 per 100 milioni di dollari. “Ho guardato nel mio cuore e ho capito che noi, gli uomini d’affare della Russia, non siamo gli stessi di cinque anni fa, siamo cambiati insieme al nostro Paese”, così dichiaro commosso alla sera di Gala a New York, dopo essersi aggiudicato il lotto. E tratta le sue uova, che lui ha solo riportato in Patria, come oggetti sacri, che non terrebbe mai sul tavolo di casa sua. Non potrebbe, perché questi capolavori della gioielleria che gli ultimi Zar, i Romanov, regalavano alle proprie mogli per adornare le tavole della Pasqua, sono intrise del loro sangue, nell’ultimo atto della loro storia. Si narra che le donne li avessero nascosti nei corpetti e che i proiettili rimbalzassero sui diamanti nel giorno dell’eccidio di Ekaterinburg. I gioielli sparirono, insieme ai corpi degli Imperatori, per poi ricomparire una alla volta in Occidente. La collezione d’arte di Vekselberg, Fabergé in testa, non fa parte dell’eredità che lascerà ai figli, ma è patrimonio pubblico della grande madre Russia. Con tanti elogi dal presidente Vladimir Putin.
Vekselberg il filantropo presiede due fondazioni, The Link of Times e il Corporate Fund Renova, attraverso cui sostiene il Festival di Pasqua a Mosca, un evento di musica sinfonica, corale e da camera; siede nel consiglio di amministrazione e stanzia fondi per il teatro Bolshoi, e finanzia la galleria Tretyakov. L’elenco di chi gli giura gratitudine in Patria è lungo.