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Ecco chi è davvero il ministro Pier Carlo Padoan

Complimenti e in bocca a lupo.

Vedere Pier Carlo Padoan sulla poltrona di Quintino Sella riempie il cuore di speranza e le vene di ansia.

E’ il ministero più importante, il primo fronte d’urto con i mercati finanziari, con l’Unione europea, la Bundesbank. E con i sindacati, i gruppi di pressione, e tutti i topi nel formaggio del bilancio pubblico italiano.

Il compito principale che Padoan avrà davanti è tagliare la spesa per allentare il corsetto dell’austerità che ci sta soffocando. “Una rinegoziazione dei vincoli europei è inevitabile”, hanno scritto Alesina&Giavazzi sul Corriere della Sera.

Padoan lo sa bene ed è anche l’uomo che può farlo, per la sua competenza economica, per il prestigio internazionale di cui gode, per la conoscenza dei tortuosi meccanismi della diplomazia politico-economica. E perché da sempre è convinto che stretta fiscale e “sciopero” degli investimenti produttivi è una spirale che trascina tutti verso quello scenario di stagnazione di lungo periodo che va evocando da tempo Larry Summers.

Con Padoan ci siamo incrociati molte volte durante la nostra vita, ma negli anni in cui lui era al Fondo Monetario Internazionale e io al Riformista abbiamo stretto anche una collaborazione giornalistica. Avendo una posizione di grande responsabilità, firmava con uno pseudonimo le sue lettere da Washington. Con correttezza, senza aprire nessuno dei dossier specifici trattati da lui o dai suoi colleghi del Fmi, trattava per lo più temi di economia internazionale. Articoli brevi e chiarissimi, posizioni mai dottrinarie o scontate, senso della realtà accoppiato a perfetta conoscenza della teoria. Non ha mai idealizzato la capacità del mercato di autoregolarsi, ma nemmeno la possibilità dello Stato di evitare le crisi.

Quando nel 2008 è arrivato il grande crollo, ricordo una intervista che gli feci per Radio3mondo nella quale quasi con un senso di sconforto ammetteva che lo Stato era costretto di nuovo a intervenire di fronte ai fallimenti del mercato, ma avrebbe dovuto ritirarsi non appena fossero tornati gli investimenti che guidano il ciclo economico. A sei anni di distanza quel momento non è ancora arrivato, tanto meno in Italia. I meccanismi normali si sono inceppati e nessuno sa bene come far ripartire la macchina.

Adesso ha davanti a sé un compito enorme e dietro le spalle esperienze non positive, come quelle di Vittorio Grilli e di Fabrizio Saccomanni, economisti di valore che si sono perduti nel labirinto fiscale senza riuscire ad aggredire il grande macigno che blocca l’Italia, perché la spesa pubblica resiste a ogni tentativo di ridurla. Non è un problema tecnico, ma politico visto che di lì passa sia il meccanismo del consenso sociale sia lo scambio clientelare.

In un intervento su Panorama il mese scorso, quando ancora non sapeva di diventare ministro, Padoan ha scritto che il problema sta negli investimenti senza i quali “la crescita non si autosostiene. Soprattutto senza investimenti è difficile che ci siano incrementi di produttività”. E concludeva: “Avere un programma credibile già di per sé può migliorare la fiducia delle imprese”.

Avanti Pier Carlo, con giudizio e con coraggio. Senza tabù, nemmeno quello del tre per cento.

Stefano Cingolani

 



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