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Un paio di consigli non richiesti a Ignazio Marino (e a Giuliano Pisapia)

Che cosa può fare il sindaco di Roma per evitare il dissesto della Capitale? Perché non privatizza il 51% dell’Acea? E invece di invocare soldi da Palazzo Chigi perché non imposta una severa spending review? Sono alcune delle domande che si pone Andrea Tavecchio, commercialista, fondatore dello studio Tavecchio & Associati, editorialista di stampo liberale, che da milanese si permette di consigliare pure il primo cittadino di Milano su qualche ex municipalizzata…

Colpa solo del sindaco Ignazio Marino la situazione del Comune di Roma?

Il sindaco Marino non è certo responsabile dello stato delle finanze di Roma Capitale e di quella enorme pletora di partecipazioni che il Comune controlla, fonte di perdite miliardarie negli ultimi anni. Non è responsabile per il passato, ma se non cambia direzione è molto probabile sarà coinvolto per il futuro.

Troppe partecipate? Troppi dipendenti?

Si assolutamente. Roma Capitale, ricordiamo, tra personale diretto e società partecipate ha circa settanta mila dipendenti. Rileggiamo ad esempio quanto ricordato in Senato da Linda Lanzillotta secondo cui nel settore delle municipalizzate il complesso di queste aziende occupa circa 25.000 dipendenti. Il grosso è assorbito da ATAC, che occupa quasi più dipendenti di Alitalia, e da AMA, ma ciò che va sottolineato è che tra il 2008 e il 2010 questo perimetro di dipendenti è aumentato di quasi 4.000 ulteriori unità, non solo nelle società di pubblico servizio, ma anche nelle cosiddette società in house, cioè quelle che svolgono per il Comune delle attività di rilevanza pubblica, come la progettazione immobiliare e la gestione dei servizi culturali, e che il Comune stesso finanzia a pie’ di lista trasferendo l’ammontare dei contratti di servizio.

E quindi?

La politica non deve gestire (tranne poche eccezioni quasi solo nelle infrastrutture) i business.

La diagnosi è chiara, meno la prognosi. Restiamo su Rom. Che cosa si deve fare per invertire la rotta?

Una cosa che il sindaco Marino potrebbe fare subito è un’asta competitiva internazionale sul 51% di Acea. Questa oggi capitalizza 2 miliardi di euro in Borsa, ed arriva da un periodo positivo. Il suo titolo si è apprezzato di oltre il doppio in questi ultimi dodici mesi. La vendita di Acea si avvantaggerebbe anche della mutata percezione degli asset italiani da parte di molti investitori internazionali. Il Comune potrebbe fare un ottimo affare come i cittadini romani e questo sia come “azionisti” di Acea sia come clienti di Acea stessa.

Perché?

Tutte le amministrazioni pubbliche vivono e vivranno sempre di più l’irrisolvibile conflitto dell’essere allo stesso tempo politicamente obbligate a dover cercare di fornire il miglior servizio al minor costo possibile a favore dei cittadini utenti e dall’altra parte a dover gestire le partecipazioni quotate e quindi con soci di minoranza con pura logica di business. Una società, anche se di soci privati, deve avere il profitto e la creazione di valore per gli azionisti, nel rispetto delle leggi, come unico obiettivo. L’asta potrebbe realizzare, oltre ad un incasso importante come detto, una gestione solo privata e quindi ancora più efficiente grazie alla quale se spinta da una authority indipendente renderebbe possibile anche abbassare le bollette per i clienti Acea.

C’è un privato, già socio di Acea, come il gruppo Caltagirone. Meglio un socio italiano e uno di peso internazionale?

Ci sono anche i francesi per quello nel capitale di ACEA, ma a me come contribuente la proprietà finale in questo caso non interessa. Mi interessa che ci sia la massimizzazione del prezzo grazie a un’asta competitiva e quindi necessariamente internazionale e che il pubblico, la politica, dia le regole competitive per evitare che si formino rendite monopolistiche ai danni dei propri cittadini elettori.

E basta la privatizzazione di Acea per sistemare le casse di Roma?

No, ma è un primo passo necessario per chiudere con mentalità e logiche sbagliate. Poi ovviamente come mi sembra abbia sottolineato anche il presidente Matteo Renzi bisogna che i Comuni mettano a posto i loro conti. Serve anche una severa spending review. Il Comune di Roma su questo ha un’eredità pesantissima. Il commissario straordinario per il piano di rientro del debito pregresso di Roma Capitale ha recentemente spiegato al Senato come a luglio 2010 lo stock del debito trasferito alla gestione commissariale ammontava a circa 20 miliardi di euro e come che quel debito venga oggi pagato, ogni anno, per 300 milioni di euro dallo Stato e per altri 200 dai cittadini romani con l’addizionale IRPEF.

Se Roma piange, Milano ride?

Il Comune è più in ordine sicuramente per fortuna ma da utente – contribuente milanese – sarei molto più contento se il Comune vendesse con un’asta il 25% che detiene in A2A e con il ricavato – ipotizziamo un miliardo di euro – completasse, ad esempio, la Linea 4 e 5 del Metro e facesse un po’ più di asili nido aiutando le mamme che lavorano e che non possono permettersi la “tata”. Vuole mettere l’utilità per i cittadini rispetto ad essere “soci” al 25% in A2A.



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