Incontriamo il Min. Hugh Robertson a Villa Wolkonsky, splendida residenza dell’ambasciatore di Sua Maestà a Roma. Il Ministro ha avuto molti incontri in giornata e domani lo aspetta la Conferenza sulla Libia alla Farnesina. Una cosa lo ha impressionato: visitare il Vaticano, dove ha incontrato il Cardinale Sandri e Mons. Mamberti e ha visitato il Servizio gesuitico per i rifugiati, particolarmente attivo in Siria nella protezione delle popolazioni civili colpite dalla guerra. “E’ stato molto emozionante”, dice.
A Hugh Robertson rivolgiamo alcune domande sulla difficile transizione nel Mediterraneo e sulla Libia in particolare.
Ministro, circa tre anni fa Ben Alì era costretto a fuggire dalla Tunisia. Da quel momento si è aperta la delicata fase del risveglio arabo in tutto il Nord Africa. Che bilancio possiamo farne oggi?
Un bilancio variabile. Ci sono Paesi, come la Tunisia, dove ieri si è recato in visita il vostro Primo Ministro, che sono oggi un esempio molto positivo e incoraggiante. Il dialogo nazionale a Tunisi si è concluso con un clima costruttivo e possiamo dire che la transizione sta procedendo bene. L’Algeria non è stata direttamente interessata dalle primavere arabe in questa fase ma due decenni fa ha conosciuto una terribile guerra civile, di cui l’Europa non ha mai colto pienamente la gravità. Oggi l’Algeria è un Paese in piena crescita e con un ruolo attivo nella stabilizzazione di alcune crisi, come quella in Mali.
Il Marocco è stabile e rimarrà stabile. E ciò ci porta a dire che i due punti più problematici sono l’Egitto e la Libia. Parto dall’Egitto: a mio avviso i Fratelli Musulmani hanno dimostrato di avere scarsa esperienza di governo e soprattutto non hanno saputo avviare un processo inclusivo nella politica e nella società egiziana. La loro inesperienza li ha portati a commettere molti errori. La cosa più importante per l’Egitto oggi è che si arrivi presto alle elezioni presidenziali. Mi auguro che si trovi il modo per includere anche i Fratelli Musulmani in questo importante percorso elettorale.
Veniamo proprio alla Libia, senz’altro il Paese più problematico tra quelli della primavera araba. La sicurezza sul terreno è estremamente fragile; le infiltrazioni di gruppi terroristici sono molto preoccupanti e spesso torna ad aleggiare lo spettro della secessione, con le spinte fortissime che vengono dalla Cirenaica e dal sud. Dobbiamo essere preoccupati per la situazione in Libia?
Dobbiamo essere preoccupati esattamente per le ragioni che lei ha citato. Il Governo di Tripoli non ha il controllo del territorio, non ci sono strutture amministrative in grado di gestire e di governare le aree più periferiche del Paese. E ci sono ancora troppe armi in giro.
Ma la Libia è un Paese strategico per tutta l’Europa. Penso in particolare a due temi: la sicurezza energetica e l’immigrazione clandestina, temi che toccano da vicino soprattutto l’Italia. L’energia sarà la chiave della stabilità libica e la ricostruzione non potrà che partire da quel settore. Sull’immigrazione, credo fortemente che l’Italia non possa e non debba essere lasciata sola a gestire a questa emergenza. Nei miei incontri in Italia di questi giorni ho ascoltato numeri impressionanti sugli sbarchi. L’Europa ha il dovere di essere vicina all’Italia e vicina alla Libia. Uno dei punti fondamentali della Conferenza di domani alla Farnesina sta nel fatto che inizieremo a trattare la Libia come un dossier politico e non solo come un dossier di sicurezza. Certo, non risolveremo tutti i problemi domani; ma ci aspettiamo passi in avanti significativi al termine della nostra riunione.
Sempre riguardo alle primavere arabe, uno dei punti più importanti sta nel fatto che gli USA hanno avuto un atteggiamento diverso dal passato, preferendo “guidare dalle retrovie” piuttosto che impegnarsi direttamente nelle crisi. Questo atteggiamento è un elemento di debolezza o un’opportunità per l’Europa?
Non sono d’accordo sul fatto che gli Stati Uniti non si siano e non si stiano impegnando nel Mediterraneo e in Medio Oriente. Per quanto mi riguarda, posso dirle che difficilmente abbiamo visto un Segretario di Stato così attivo su questi dossier come John Kerry. Mi risulta che la sua attività diplomatica sia incessante. E Kerry sarà anche qui a Roma per la conferenza sulla Libia.
Certo gli Stati Uniti si sono dati priorità precise: la Siria, l’Iran e il Processo di Pace in Medio Oriente. Priorità che noi condividiamo pienamente e consideriamo cruciali. E i risultati stanno arrivando: stiamo registrando progressi davvero incoraggianti nei negoziati israelo – palestinesi e l’accordo provvisorio con Teheran ha una portata storica. Il punto più deludente al momento è la Siria, ma solo perché Assad continua a non riconoscere le proprie, gravissime responsabilità. La crisi siriana avrà bisogno di sforzi ulteriori.
Il suo incontro oggi in Vaticano l’ha particolarmente colpita. Oggi siamo a un anno esatto dall’elezione al Soglio di Papa Francesco, da poche ore anche candidato al Nobel per la Pace. Qual è la sua impressione su questo Papa?
In momenti di incertezza come quelli che stiamo vivendo abbiamo bisogno di guide autorevoli e illuminate. Questo Papa lo è. La sua azione di modernizzazione è estremamente incoraggiante. Peraltro a Canterbury si sta per insediare un nuovo Arcivescovo, che per freschezza e capacità di coinvolgimento ha molti punti di contatto con Papa Francesco. Questa è una buona notizia per tutti. Abbiamo tutti bisogno dell’ispirazione di questi uomini.