Il nuovo accordo sull’Italicum consegna vincitori e perdenti a metà.
“Sarà una rivoluzione”, commenta Matteo Renzi, soddisfatto per aver portato a casa almeno tre obiettivi: il patto di maggioranza tiene, l’accordo sulle riforme con Berlusconi si allarga ma è ancora in piedi e la legge elettorale potrebbe essere una partita chiusa già venerdì alla Camera. Governo al sicuro, dunque, e duraturo, si prospetta.
In realtà, il premier è il primo a sapere che ora lo attende la prova più difficile, l’abolizione del Senato che passa per il voto degli stessi senatori, senza dubbio refrattari all’idea di venire cancellati. E poi, l’immagine che emerge dalla convulsa giornata di ieri è quella di un presidente del Consiglio sotto lo scacco di tre forze: la minoranza Pd, non a caso autrice dell’emendamento risultato vincitore, quello del bersaniano Alfredo D’Attorre che riduce alla sola Camera la validità dell’Italicum; il Nuovo Centrodestra, principale azionista di maggioranza; e Forza Italia, principale azionista sul tavolo delle riforme. Ed ecco che, tirato per la giacchetta da molteplici lati, il capo del governo ha dovuto cimentarsi nella difficile, e a lui non congeniale, arte del mediare.
Canta vittoria Angelino Alfano, accontentato nella sua volontà di vincolare la riforma elettorale a quella del Senato. La durata della legislatura così si allunga e permetterà al Ncd di rafforzare la sua identità con il “governo del fare” prima di tornare alle urne. Urne però che non sono scongiurate perché questa soluzione consentirebbe, in caso di crisi, di andare al voto con l’Italicum alla Camera e il “Consultellum”, la legge uscita dalla sentenza della Consulta al Senato.
È forse questa eventualità rimasta aperta che ha fatto optare Berlusconi per il sì. In questo modo, il Cav. esce sì perdente rispetto ai desiderata di Alfano ma resta sul treno delle riforme che senza il suo consenso sono comunque destinate a saltare. “Il senso di responsabilità” prevale. Per ora.