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Il riformismo rivoluzionario di Papa Francesco

Il primo appellativo che fu coniato pochi giorni dopo la sua elezione al sacro soglio fu quello di “Parroco del mondo”. Bergoglio guida la Chiesa universale con atti e gesti che impongono all’agenda pastorale e di governo un passo molto serrato, che brucia i tempi a cui i sacri palazzi sono abituati. Il gesuita che si è fatto francescano, il vescovo arrivato a Roma quasi dalla fine del mondo, ma a cui il mondo ormai guarda come uno dei leader emergenti di questo tribolato scorcio di millennio, i riconoscimenti arrivano ormai an­che da Usa e Cina, solitamente più che prudenti verso Santa romana Chiesa.

LA GESTIONE DEL POTERE

Bergoglio è tutt’altro che un novizio del comando. Sa bene che dentro la Curia le sue iniziative catalizzano forti ostilità, e i segnali arrivano anche all’e­sterno, forti e chiari. Francesco conosce nomi e volti dei suoi oppositori e chi boicotta le iniziative di rinnovamento, ma per il momento non interviene. La gestione del potere non può essere assoluta, neppure per un papa che conosce da una parte il valore dei contrappesi e dall’altra attende che i “nemici” si annullino tra di loro. Lo ha detto lui stesso ricordando l’esperienza negativa di quando guidò la provincia dei gesuiti in Argentina, quando fu accusato di essere un reazionario per il modo autoritario con cui gestiva la struttura. Ha quindi pagato di persona l’assenza di un’impostazione collegiale, che oggi vuole recuperare.

CANTIERI APERTI

I cantieri aperti da Bergoglio dal giorno dell’elezione, quasi un anno fa, sono molti e non solo riguardanti le strutture che sovrintendono al funzio­namento della Chiesa. Un mese dopo la fine del conclave nominò gli otto cardinali incaricati di consigliarlo sulla riforma della curia e in generale su tutte le questioni di governo: un primo abbozzo di nuova collegialità di sapo­re conciliare che ha gettato scompiglio nelle sacre stanze. Poi le decisioni sullo Ior, la tribolata banca vaticana che da qualche anno è al centro di scontri e scandali: prima la nomina di una commissione di inchiesta con pieni poteri, poi il cambio improvviso del management dopo lo scandalo del monsignore di curia che usciva con valigie piene di contante dalle mura leonine, dopo l’insediamento di una commissione sulle finanze vaticane. Una serie di atti seguiti da nuovi regolamenti e testi unici (anche di natura penale) che in sei mesi ha messo mano a un ordinamento fermo da decenni. Una linea di rinnovamento che è riuscita a coagulare voci di dissenso su quanto deciso a Santa Marta e rinforzato l’attività di lobbying sotterranea controcorrente, che sempre più spesso viene allo scoperto, quasi sempre attraverso la rete.

LA RIFORMA DELLA CURIA

L’idea di fondo sulla curia è di ridurre la struttura verticistica via via cre­atasi negli ultimi decenni, dopo la riforma di Paolo vi, confermata da Gio­vanni Paolo II. Il governo pontificio nei fatti si è modellato come un imbuto rovesciato, dove ogni processo decisionale finiva per convogliarsi nella parte alta della segreteria di Stato. Una tendenza che si è accentuata soprattutto nel periodo di guida del cardinale Tarcisio Bertone, creando non pochi ma­lumori tra le porpore durante la seconda parte del pontificato di Benedetto xvi. Papa Francesco da subito si è detto contrario a questo schema, e lo ha di­mostrato andando a vivere a Santa Marta proprio perché l’appartamento “ha un ingresso piccolo” disse, come un imbuto da dove è difficile transitare.

UNO SGUARDO ATTENTO SULLE PERIFERIE

La questione naturalmente è più complessa, e attiene a un modello di governance che deve rispondere anzitutto a un’idea pastorale ben chiara: se il preceden­te pontificato aveva come cifra-chiave la lotta al relativismo e l’incontro tra fede e ragione, questo di Bergoglio prima di tutto volge lo sguardo a chi sta al margine, alle “periferie” del mondo. Non basta quindi dichiarare in ogni modo che i vescovi debbono dire no al carrierismo, del resto lo aveva fatto anche Ratzinger: bisogna creare le condizioni pratiche affinché questo possa avvenire agevolmente, che sia la regola non l’eccezione.

LA TRASPARENZA DELLO IOR

La Chiesa ha biso­gno di mezzi finanziari per poter svolgere la sua missione, e su questo anche Bergoglio concorda, visto come superò la crisi della diocesi di Buenos Aires durante il grande crack argentino dei primi anni del millennio: solo che biso­gna mutare profondamente le modalità, cambiare l’ordine tra fini e mezzi. La trasparenza dello Ior, tema centrale da tre anni e più, è solo uno strumento di pulizia affinché la carità possa affluire agevolmente alle opere di religione, e non un tassello normativo necessario (ma gravoso) per non avere guai con la giustizia: questa è l’impostazione per guidare una banca d’affari, non l’ufficio di un ente dedito alla carità.

CONSULENTI E CARDINALI

L’esigenza di una riforma ha messo in moto un meccanismo (di cui Bergoglio ha saputo solo a cose fatte) di nomina di uno stuolo di consulenti di grido, da Promontory per Ior e Apsa – che potreb­bero fondersi – a Ernst & Young per il Governatorato, fino a Kpmg per la compliance contabile e nientemeno che Mc Kinsey per il riordino dei media. Tutti nomi di altissimo standing, buoni anche per dare una giustificazione inattaccabile a decisioni forse già prese, ma che potrebbero incontrare delle contestazioni. Ma tutto questo costa, e parecchio, a quanto pare. Tra i dipen­denti laici vaticani, sia dei media sia di altri uffici come il Governatorato e i musei, resta la “sorpresa e il senso di stranezza per l’ingresso in Vaticano – ha riferito l’Ansa in un’inchiesta di qualche tempo fa – di società internazionali che, a livello globale, sono state al fianco della finanza speculativa, del grande capitale finanziario, che magari hanno progettato ristrutturazioni aziendali, che sono state partecipi anche del sistema che ha portato alla grande crisi eco­nomica”. Posizioni queste che si sono saldate con altre notizie, come quella riportata dalla stampa brasiliana che il Vaticano avrebbe donato 3,6 milioni di euro al Comitato organizzatore della Gmg di Rio per aiutare a coprire il debito lasciato dal grande raduno giovanile di luglio, che sarebbe pari a 28,3 milioni di euro. E come è stata accertata l’entità del debito? Pare – riferisce l’inchiesta citata dall’Ansa – con un audit condotto dalla Ernst & Young.

A breve comunque arriveranno sul tavolo di Francesco le prime concrete pro­poste di riordino della Curia dagli otto cardinali, che dalle due commissioni economiche e finanziarie (specie da quella referente per le finanze papali) attendevano delle proposte già in dicembre, ma che non sono arrivate, tanto che il papa ha dovuto nominare il suo segretario particolare come “delegato” a vigilare sull’attività degli organismi, che più che consultivi sembra tendano a voler diventare permanenti, quasi dei “cda ombra” su molti aspetti gestio­nali dei sacri palazzi, secondo quanto riferiscono fonti interne alla Curia che osservano da vicino l’attività.

IL DENARO

Il papa ha avviato un processo interno, ed è partito dal denaro perché era – ed è ancora – il punto di crisi forse più complesso, ma non ha atteso ad aprire altri fronti. Da poco è stata annunciata una commissione per rin­vigorire la lotta alla pedofilia, segno che quanto fatto fino ad oggi non aveva dato l’esito sperato: non è stato un caso che a dare l’annuncio sia stato il cardinale Sean O’Malley, che guida la diocesi di Boston, luogo simbolo negli Usa dei peggiori crimini commessi da ecclesiastici nei decenni scorsi ai danni di minorenni.

IL VALORE DELLA FAMIGLIA

Poi si è dedicato anche all’altro tema centrale della famiglia, uno dei due “valori non negoziabili” che erano stati centrali nel precedente pontificato. Sulla famiglia ha aperto un cantiere i cui lavori andranno avanti per due anni: a ottobre il primo sinodo straordinario, poi quello ordinario nel 2015. Al centro naturalmente ci sarà il tema scottante dei divorziati ri­sposati, su cui si combatte una guerra (neppure troppo sotterranea) a suon di interviste tra alti prelati. Novità significative non sono da attendersi, almeno a breve, ma una strada è stata tracciata, e sembra quella seguita dagli ortodossi. Inoltre segnali non secondari il papa li lancia anche al complesso mondo gay (resta memorabile quel “chi sono io per giudicare?” pronunciato in aereo di ritorno da Rio de Janeiro), nonostante le smorzature ufficiali. Insomma, vita e famiglia restano dei cardini della dottrina e della pastorale, ma l’indicazione di Bergoglio ai vescovi è che “non devono essere una ossessione”.

L’AUTORITA’ DEL PONTEFICE

Un processo enorme investe il papato fino dentro le fondamenta, e che il papa gesuita sostiene con una pastorale che va a toccare i cuori dei fedeli, sempre più presenti nelle parrocchie di tutto il mondo – in Usa è addirittura un boom, favorito anche dall’origine latinoamericana, e dei non credenti: anzi è proprio tra questi ultimi che la popolarità sta crescendo a tassi espo­nenziali. L’autorità morale del pontefice argentino gli permette di schierarsi contro la guerra in Siria, coalizzando attorno a sé anche l’episcopato america­no, solitamente molto attento agli istinti nazionalistici. E alla “cara nazione italiana”, terreno di scontro tra le gerarchie durante il precedente pontificato con conseguenze che hanno lasciato un segno grave e profondo, il messaggio che arriva è di una nuova stagione di separazione degli interessi, come emerso chiaramente dai messaggi mandati alla Cei, dove alla segreteria generale è stato nominato un vescovo di base che vive in “stile Bergoglio” ed è com­pletamente fuori dai giochi di corrente. Una nuova era, a quanto pare, le cui avvisaglie si erano comunque colte già prima dell’elezione di Francesco, visto che nella campagna elettorale di un anno fa non si erano sentiti (o letti) echi di posizioni filo-Chiesa da parte di partiti o viceversa di atteggiamenti benevoli di porporati verso qualche schieramento, vicende che erano state all’ordine del giorno nelle precedenti competizioni elettorali, specie nel 2006 e 2008. Il clima si è rilassato, vita e famiglia non sembrano essere più oggetto di guerre politico-religiose, complice forse anche la coincidenza che alla guida del governo e del maggior partito ci sono due politici che, pur con esperienze tra di loro diverse, provengono dalla tradizione del cattolicesimo politico.

Articolo contenuto nell’allegato del numero di marzo della rivista Formiche dal titolo “E venne Francesco”.

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