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I cattolici del Pd e il Pse

Un sondaggio commissionato dal Domani d’Italia – una testata cara al popolarismo sturziano e alla Dc degasperiana, ora espressione dei postdemocristiani passati, attraverso la Margherita, al Pd – ha ben percepito una sensazione diffusa nel nostro paese: che l’Europa è lontana dal cuore degli italiani. Con una specificazione tutt’altro che irrilevante: il 20 per cento dell’elettorato cattolico partecipe dell’esperienza piddina non ha condiviso la scelta del Pd di entrare nel partito socialista europeo.

Questi due dati sono rimessi alla valutazione dell’intero arco politico nazionale, specie ora che cominciano ad essere definite le liste dei partiti e dei candidati che andremo a valutare nelle elezioni europee dell’ormai prossimo 25 maggio. Se non altro per il fatto che, se un quarto degli elettori cattolici sinora ruotante nell’ambito del Pd potrebbe, se coerente, non votare più per la sinistra di governo, è tutto da verificare verso chi è orientato l’altro 80 per cento di elettori cattolici: che sicuramente non è compatto, benché sua parecchia parte guardi invece con favore alle liste collegate col partito popolare europeo.

Gli esponenti politici che si riconoscono nelle posizioni del Domani d’Italia sono particolarmente chiamati ad assumere precise responsabilità. Se Beppe Fioroni, il loro leader, ha tenuto a enfatizzare (e ha fatto benissimo) questi dati percentuali, ciò significa che nel Pd – sinora ambiguo sulla propria collocazione internazionale – Renzi o non Renzi, non si può fingere che la questione sia marginale, e tranquillamente assorbibile. Ove, infatti, ci fosse reale e sistemica corrispondenza fra quel 20 per cento di elettori sondati e il peso specifico della sua rappresentanza all’interno del Pd, una scelta elettorale contraria al Pse già di per sé costituirebbe un enorme problema al Renzi dal doppio incarico di premier e di segretario del partito. Solo un grande recupero di voti persi dal Pd di Bersani a favore del grillismo potrebbe compensare e persino nascondere uno spostamento di quel 20 per cento di elettorato cattolico.

In altri termini, Renzi rischia grosso, dopo aver imboccato la strada socialdemocratica europea collegata ad un candidato presidente come Martin Schulz, che proprio popolare non è, né in Italia né in Germania. Se si collega questo problema – ipotetico quanto si vuole, ma non improbabile – coi propositi renziani dichiarati, si comprende come siano in gioco tanto l’unità formale del Pd quanto la vita di una maggioranza di governo che riesce a procedere prevalentemente col soccorso bianco che gli proviene da Forza Italia.


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