Niente maniche di camicie arrotolate, neanche in un comizio di luglio, mai battute spiritose, nessuna voglia di voler apparire simpatico a tutti i costi. Enrico Berlinguer non ha nulla dell’avanspettacolo a cui si è ridotta la politica oggi, nota un “berlingueriano sentimentale” come si definisce Stefano Di Michele, firma del Foglio, con un passato all’Unità e da simpatizzante – non pentito – del Pci.
TRISTE E TIMIDO
E’ quello sguardo triste e timido del segretario comunista il centro del docu-film di Walter Veltroni, “Quando c’era Berlinguer”, che Di Michele ha visto in anteprima in compagnia del regista stesso, di Diego Bianchi in arte Zoro e del critico cinematografico Alberto Crespi. “Praticamente una riunione di circolo”, ironizza in una conversazione con Formiche.net: “La cosa più bella del film non sono le interviste a personaggi autorevoli come Napolitano che si commuove o a Gorbaciov. Colpiscono le facce in bianco e nero di allora, la timidezza e lo stupore contenute in quella di Berlinguer, così poco teatrale, così vicina agli italiani raccontati da Paolo Conti, ‘quel naso triste da italiano allegro’”, spiega il giornalista che sta scrivendo un romanzo giallo proprio sulla figura dello storico segretario del Pci: “Berlinguer non era fatto per farti innamorare, non era spiritoso come i politici di adesso ma aveva un’empatia naturale difficile da spiegare a parole, che trascende la politica stessa”.
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UNA MORTE EROICA
Berlinguer è diventato icona anche grazie alla sua morte, sul palco di un comizio a Padova nel 1984: “Lui che si accanisce per finire il discorso nonostante l’ictus in corso ha reso la sua morte ‘bella’ come scrisse Natalia Ginzburg perché avvenuta mentre parlava alla sua gente. Una morte eroica che l’ha in qualche modo eternizzato”.
IL TRIBUTO DI TUTTI
Un fascino e un rispetto che il leader sardo ha sempre avuto, non solo tra i compagni del suo partito, come dimostra il tributo di politici e giornalisti accorsi a vedere la prima del documentario e che ricorda altri giorni, fa notare Di Michele, giornalista e scrittore ora al quotidiano diretto da Giuliano Ferrara: “Veltroni è stato bravo ma stupisce che per un segretario comunista morto trent’anni fa si sia mobilitata la struttura dello Stato italiano. Sembrava, in maniera più gioiosa, la ripetizione dei funerali e il saluto che vollero portare al segretario persone totalmente diverse, da Monica Vitti a Giorgio Almirante”.
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OLTRE LE POLEMICHE
Per questo le critiche suscitate dal film di Veltroni lasciano il tempo che trovano, secondo il giornalista del Foglio, Stefano Di Michele: “Chi se ne frega se non sono stati mostrati gli ultimi anni del Pci, non è una tribuna politica. Del resto, a mio avviso, con la morte di Berlinguer è cominciato a morire anche il partito. E sì, forse dal punto di vista di strategia politica, il tempo ha dato ragione ai miglioristi alla Napolitano e Macaluso, che volevano stringere un rapporto più stretto con il Psi, così come poi è avvenuto. Ma, mi dispiace per loro, il fascino e l’empatia stanno tutti dalla parte di Berlinguer”.