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Se il successo giustifica i mezzi. Promemoria per Berlusconi

Benché il numero degli indigenti e dei disoccupati sia in salita, non siamo ancora un Paese povero. Non è povero un Paese in cui un’automobile su dieci è un Suv, otto italiani su dieci vivono o vanno in vacanza in case di proprietà, la ricchezza privata è pari a sei-sette volte il Pil. Siamo, però, anche un Paese che ha un’evasione fiscale e un’economia sommersa stratosferiche, e che in Europa è tra gli ultimi per dinamica della produttività e per investimenti in ricerca e sviluppo.

Beninteso, l’elenco delle (più o meno nascoste) ricchezze e delle (più o meno clamorose) povertà nazionali andrebbe ben altrimenti circostanziato. Ma è già sufficiente a dare conto di una realtà stretta nella morsa di un debito pubblico esplosivo e di un declino industriale che, accelerato dagli effetti recessivi di una lunga crisi, hanno determinato una crescita negativa o piatta.

Tutta colpa dell’euro e della signora Merkel? Non scherziamo. La condizione deprimente dell’Italia è anche frutto di un capitalismo sideralmente distante, a parte poche eccezioni, dall’imprenditore schumpeteriano, più vicino alla figura del rentier e alla pratica subalterna dell’arrangiarsi, spesso ignaro delle responsabiltà sociali dell’impresa. La nostra grande impresa manifatturiera, del resto, è ormai sparita dalla scena internazionale.

Un capitalismo, il nostro, che ha consentito a un imprenditore come Silvio Berlusconi, operante in un settore protetto come quello delle comunicazioni, di consolidare il proprio potere di mercato grazie al sostegno politico cercato e ottenuto (perché concesso). Un capitalismo fatto di paradisi fiscali e di società off-shore, di tasche degli azionisti piene e di buste paga dei salariati magre, di doppia contabilità e di guadagni in nero, incline a corrompere o a essere corrotto dalla politica, costantemente impegnato in un duro corpo a corpo con la cultura delle regole.

I nuovi capitani coraggiosi della finanza hanno così occupato il proscenio. L’antica razza padrona del Nord si è accodata volentieri. Poi sono cominciati i mal di pancia, non appena l’ordalia giudiziaria ha cominciato a mettere in difficoltà il leader carismatico della destra italiana. Un leader che, anche se si vanta della sua tempra prometeica, è tuttavia fragile dentro. Nel senso che il suo mondo non è relazionato ad altro che alla propria affermazione personale. Quando essa si appanna, va a rotoli anche il progetto strategico di cui era l’anima.

A questo punto, Berlusconi dovrebbe comunque chiedersi: se adesso c’è un fuggi fuggi (in verità, assai poco decoroso) di tanti illustri esponenti della borghesia domestica da quel progetto, non è anche perché qualcuno ha insegnato loro che il successo giustifica i mezzi?



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