L’annuncio del presidente della Banca centrale europea (Bce) che il suo istituto utilizzerà una vasta batteria di strumenti per iniettare liquidità nel sistema è stato salutato con gioia. Specialmente sulla stampa italiana.
LE STIME DELLA STAMPA
Da un lato, sotto il profilo macro-economico, la strategia dovrebbe assicurare quella crescita dello 0,8% per il 2014 che pare essere l’assunto di base della strategia del Governo e del Def. Da un altro, sotto il profilo micro-economico, si conta che dalla Bce la liquidità arrivi alle banche centrali e quindi agli istituti di credito e da essi alle imprese.
NON FESTEGGIAMO PRIMA DEL TEMPO
Non sta a me portare via gli alcolici quando tutti (governo, opposizione, banche, imprese, colto ed inclito e via discorrendo) stanno diventando allegri. E’ necessario però porre tutto questo in un contesto appropriato.
In primo luogo, già nel gennaio scorso, Joseph Gragnon e Brian Sack del Peterson Institute for International Economics, avevano avvertito che le autorità monetarie (il lavoro si riferiva principalmente alla Federal Reserve) non sarebbero dovute tornare a una strategia analoga a quella precedente la crisi perché “si sarebbe dovuto dare olio al sistema su una base permanente”.
I DUBBI SUGLI IMPATTI DEGLI STRUMENTI NON CONVENZIONALI
Il suggerimento è stato seguito da tempo anche dalla Bce. Lo documenta con ricchezza di dati un lavoro del CESifo (Working Paper No. 4628) effettuato in collaborazione con le Università di Monaco e di Würzburg, in uscita la settimana prossima. Secondo lo studio, le politiche monetarie di Bce e Federal Reserve “hanno da tempo il profumo” di “politiche di bilancio accomandanti” neokeynesiane. Ciò ha un’implicazione importante: dalla fine del 2008 il nesso tra i tassi di interesse bancari e i rendimenti delle obbligazioni statali è diminuito in misura significativa. Ergo, “il successo potenziale di strumenti non convenzionali, come le Outright Monetary Transactions, OMTs, è molto limitato”.
UN’OPINIONE DALL’INTERNO DELLA BCE
Non è un commento da professoroni o professorini. All’interno della Bce, due economisti di rango, Matthias Burger e Sebastian Schmidt, hanno inviato al management un’analisi econometrica che, specialmente per Paesi come l’Italia, ha implicazioni serie: sulla finanza e sull’economia reale europea, incombe una trappola della liquidità tanto più severa quanto maggiore è il debito pubblico. A conclusioni analoghe, ma con una strada differente, arrivano Anton Korinek (Johns Hopkins University) e Alp Simsek (Harvard University) nel NEBER Working Paper No w19970 diramato alla vigilia dell’ultima riunione del Consiglio Bce. Ai piani alti dell’Eurotower ne sono consapevoli.
Lo sanno anche al primo piano di Via Pastrengo nei bellissimi uffici del Ministro dell’Economia e delle Finanze. Qualcuno lo ha detto a Palazzo Chigi?