Ogni volta che viene avviata una riforma, qualunque sia il suo oggetto, la Pubblica amministrazione si divide e si stratifica. Da un lato c’è un atteggiamento burocratico di chi in prima battuta cerca l’interpretazione che consenta di affermare che la nuova norma si applica per tutti ma non per il proprio ente, e ci si chiama così fuori dal perimetro di applicazione. Poi ci si interroga su quali sono le sanzioni se non si dovesse applicare la norma e infine se proprio si deve fare qualche cosa, ci si appiattisce sull’adempimento facendo il minimo indispensabile senza stravolgere troppo l’esistente. Questo atteggiamento, di cui è ricca la cronaca delle riforme della nostra Pa, va sotto il nome di “rispetto dell’adempimento senza riformare nulla”: distillato di burocrazia pura.
LE CAMERE DI COMMERCIO E LE NORME DI RIFORMA
Fortunatamente, esistono però altre amministrazioni che invece leggono le norme di riforma non come una minaccia organizzativa, ma come l’occasione per fare e per innovare. Le Camere di commercio sono tra queste: si sfrutta la norma per rendere urgente ciò che prima era solo importante sapendo che l’innovazione marcia sempre sulle gambe delle esigenze e non su quelle delle norme. Ma le norme nel nostro ordinamento comunque servono e danno titolo a fare.
I PIONIERI, GLI IMITATORI E GLI INERTI
Questi due atteggiamenti opposti consentono di segmentare gli enti e le famiglie professionali che al loro interno operano in tre grandi categorie: “i pionieri”, “gli imitatori” e “gli inerti”. I primi sono gli apripista, gli innovatori per Dna culturale, i secondi quelli che seguono, copiano e adattano e infine gli ultimi sono quelli con il freno a mano tirato, quelli che aspettano, per dirla alla Eduardo, che passi la nottata, che cambi il ministro, che la cosa rientri, che un ricorso blocchi tutto.
LA CATEGORIA DELLE CAMERE DI COMMERCIO
Le Camere di commercio per una serie di fattori e con tutti i distinguo legati alla dimensione, ai meridiani e paralleli tecnici e culturali, tendono a collocarsi quasi sempre tra i pionieri e le avanguardie. Limitandoci alle ultime stagioni normative si può tranquillamente affermare che è stato così per la gestione della performance, per la trasparenza, per l’adozione di strumenti per la lotta alla corruzione: le tre grandi riforme degli ultimi cinque anni. Su questi temi le Camere di commercio hanno fatto scuola tanto che la stessa Civit, oggi Anac, attraverso convezioni ed accordi ha utilizzato le (best) practice delle Camere per offrire spunti operativi ed esempi ad altre amministrazioni.
TRE PUNTI DI FORZA
I motivi di questa favorevole situazione vanno ricercati in tre punti di forza. Le Camere di commercio sono dei centauri culturali: per metà amministrazioni pubbliche, quasi enti locali, ma per metà sono strutture quasi private per l’aria che si respira nei loro Consigli di amministrazione composti da imprenditori e per la pressione sui risultati esercitata dalle stesse imprese che a esse chiedono servizi e supporto. Sono certo amministrazioni, ma sono amministrazioni diverse con storie diverse, con profili professionali diversi che si confrontano con la domanda di efficienza delle imprese del settore privato; esse operano, anche se in monopolio, in concorrenza di immagine tra loro anche se sono distanti chilometri e hanno tutte una storia operativa quasi sempre segnata da passaggi non di burocrati, ma di imprenditori e professionisti che ne hanno scandito e sedimentato le stagioni organizzative. Elementi questi che non si riscontrano in altre amministrazioni.
Il secondo elemento è un approccio operativo molto pragmatico: si muovono in gruppo, non si nascondono dietro il solito alibi “noi siamo differenti” per nascondere il non fare; certo, Roma e Milano, se non altro per numero di dipendenti e aziende aderenti, non sono uguali a Rieti o Cosenza, ma qui entra in gioco il ruolo di Unioncamere. Un’associazione di categoria di secondo livello, che al contrario di altre strutture simili svolge un ruolo trainante e importante: fa da delivery unit delle riforme, da laboratorio di metodologie e tecniche, da centro di sperimentazione, da elemento di diffusione ed evangelizzazione tecnica che consente quell’allineamento sull’alto che non è riuscito a tante altre categorie di amministrazioni pubbliche e gestionalmente meno complesse. Il sistema camerale, posizionandosi da sempre sulle esigenze si trova costantemente un attimo in anticipo quando arriva il momento di applicare le norme. La cosa non è di poco conto anche se sfugge a chi guarda le Camere di commercio con superficialità dall’esterno. Per onestà va detto che, a differenza di altre Pa, dispongono di risorse finanziarie dedicate, ma sta proprio nel dedicare risorse a progetti innovativi la scelta gestionale vincente che a sua volta poggia su due leve potenti: la formazione e il meccanismo del fondo perequativo che, finanziando progettualità di sistema, consente una solidarietà tecnica anche per le Camere più piccole, meno ricche e meno strutturate.
Il terzo elemento, infine, è il supporto informatico e tecnologico fornito da Infocamere, altra struttura della rete, che ha consentito di realizzare progetti di sistema realizzando notevoli economie di scala ed evitare il solito errore di realizzare ciascuno per conto proprio sistemi e supporti diversi, che poi non si parlano tra loro, a costi diversi e spesso elevati e senza risultati. Spesso nelle nostre Pa si confonde la spesa con l’investimento: se si spendono soldi e la produttività non aumenta, non si realizzano investimenti, ma si sono semplicemente sostenute delle spese e forse realizzati degli sprechi. Questo nel sistema camerale non è avvenuto: un’eccezione che dovrebbe essere la regola.
La conclusione è che il modello operativo delle Camere di commercio e del sistema camerale è certamente migliorabile, va letto oggi come un caso da imitare, osservare e studiare attentamente.
Luciano Hinna
Docente di Economia delle aziende pubbliche presso l’Università di Roma Tor Vergata
(Articolo pubblicato sul numero di aprile della rivista Formiche)