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Piacere, sono il solito “idiota berlusconiano”

C’è quella che dovrebbe farti sentire in colpa: “Lei è un berlusconiano!”. Oppure quella sorpresa: “Mi stupisco di come si ostina a prendere le difese di un uomo che ha rovinato il Paese”. E ancora definitiva: “Berlusconi ha fallito, deve farsi da parte”. Per finire con la più rigorosa “E’ un condannato, rispetti la sentenza”. Poi ci sono quelle più ossequiose “Dottore, non mi sarei mai aspettato che una persona intelligente come lei potesse ancora credere che Berlusconi, dopo che ha avuto maggioranze bulgare…” o quelle assolute, democraticamente autoritarie ma piuttosto indefinite: “Berlusconi non deve fare politica perché non deve”. Sono solo alcune delle frasi o commenti che mi sento rivolgere quando mi capita di affrontare una discussione sul Cavaliere o a seguito di qualche scritto o convegno, tralasciando quelle diciamo più “amichevoli” che fanno un raffronto esplicito della scatola cranica con la forma dell’organo riproduttivo maschile.

Succede tuttavia che i latori di cui sopra rimangano sorpresi e spesso basiti quando si sentono poi rispondere dal berlusconiano: “E’ assodato: Berlusconi non ha mantenuto le promesse del ‘94”. Diciamo chiaramente ciò che è di tutta evidenza storica:  gli impegni presi con gli Italiani dalla celebre discesa in campo sono rimasti in gran parte disattesi. Il grande imprenditore che ha costruito dal nulla un impero economico, rivoluzionato il modo di costruire e vendere case, scardinato il monopolio televisivo italiano quando a tutti sembrava impossibile farlo, non è stato capace di fare altrettanto nella sua seconda vita. In sintesi, ha fallito l’obiettivo principale quando, ancora incerto per la grave decisione da prendere, era stato messo con le spalle al muro dalle chiare e dirette parole della madre Rosa, che sciolsero le sue riserve e determinarono la sua decisione finale. Tutto vero, la realtà dei fatti è inconfutabile.

Tuttavia, c’è una domanda di fondo che dovrebbe far riflettere,  a prescindere dalle varie sensibilità culturali o di appartenenza e che direttamente riveste importanti implicazioni per il futuro del Paese: è quella se davvero esistevano le condizioni di fatto per consentire al Cavaliere di assolvere al suo impegno. La risposta è no, non sussistevano e non esistono ancora le condizioni. L’imprenditore Berlusconi se ne è reso conto a sue spese, dovendo  sottostare alle curiose alchimie di coalizioni elettorali e maggioranze di governo vittime degli interessi e, diciamolo, ricatti dei piccoli partiti, di un sistema di pesi e contrappesi istituzionali che di fatto hanno ingessato la capacità di agire e decisionale dell’ex Capo di Governo. E’ curioso e singolare che la redenzione di Berlusconi  sia proprio il nuovo segretario del partito avversario, quel novello berlusconiano a sua insaputa di Matteo Renzi. Il nuovo premier, così simile a lui negli atteggiamenti e nella visione delle regole del gioco, lo ha capito immediatamente e prontamente ha trovato in Berlusconi il primo alleato nel comune desiderio di dare a questo Paese una governabilità ad oggi ancora impossibile.

Matteo Renzi è quindi la nemesi degli attacchi e delle critiche a Silvio Berlusconi. Il rampante premier è sveglio, corre ed è ben conscio – a prescindere dall’effettiva bontà delle sue ricette – che può farcela solo se potrà agire in uno schema istituzionale rinnovato. Quel processo di riforme  che intende realizzare ha però bisogno della presenza attiva e fattiva del Cavaliere, la cui libertà di azione e rappresentanza politica non può e non deve essere compromessa o limitata da alcuna sentenza ed esecuzione della pena di cui tanto si discute: sarebbe umiliante per la democrazia e per tutti i cittadini italiani, ovviamente inclusi anche coloro il cui pensiero dopo aver letto queste righe non potrà essere diverso da “è il solito idiota berlusconiano”.


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