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I consigli di Festa per un Centrodestra ancora un po’ berlusconiano

Qual è il futuro del Centrodestra? E che Centrodestra va costruito? O siamo in presenza di forze sparpagliate senza un programma comune? E la lista Ncd-Udc non è un primo passo per ri-costituire una Casa unitaria dei Popolari anche con Forza Italia alle prossime politiche?

Ecco alcune delle domande che Formiche.net ha posto al saggista ed editorialista, Lodovico Festa, primo degli intellettuali che Formiche.net ha coinvolto per un dibattito a più voci dopo l’editoriale del sito intitolato “Un programma per il Centrodestra“.

Il centrodestra in Italia è una Babele quasi senza speranza come scrive Antonio Polito sul Corriere della Sera?

L’analisi di Polito non è priva di finezza quando individua in Silvio Berlusconi il primo che riconquista uno spazio al centrodestra dopo decenni in cui a questo schieramento è stato impedito (certo anche per colpe di forze sociali che ne erano alla base: si consideri il regime fascista) di rappresentarsi.

Quindi ha ragione l’editorialista del Corsera ed ex direttore del Riformista?

L’analisi politiana è però riduttiva quando indica nella sola questione fiscale l’espressione di questa ritrovata autonomia: dal rilancio di una contrattazione decentrata che a Sergio Marchionne è stata possibile grazie all’opera innanzi tutto di Giulio Tremonti al radicamento della sussidiarietà e del rapporto pubblico-privato che in Veneto e in Lombardia ha dato grandi risultati non valorizzati dai limiti politici dei Formigoni e dei Galan, dal porre la questione del federalismo franata poi sotto le Trote, i Batman e le mutande verdi per colpa in parte alle stupidaggini del ceto politico di centrodestra ma anche molto grazie alla magistratura combattente (quattro regioni di centrodestra sciolte dal 2012), il centrodestra egemonizzato da Berlusconi ha definito un perimetro di forze sociali “autonome” dalla sinistra e da quell’establishment (big business, grandi banche con annessi media, settori decisivi dello Stato a partire dalla magistratura e così via) che non vuole uno Stato aperto e quindi impedendo (lo spiega bene Rachida Dati forse non per caso sul Messaggero) vere opposizioni impedisce vere basi per vere sovranità nazionali sia pure nel quadro degli impegni internazionali.

Ma adesso questo centrodestra è finito?

In parte ciò è vero. Ma anche in questo caso l’analisi di Polito è sbagliata: non è la rottura di Berlusconi con il governo Letta che “fa finire” l’unità del centrodestra, bensì l’uso politico della giustizia: l’accelerazione/condizionamento della Cassazione, l’accelerazione dell’espulsione dal Senato del leader di Forza Italia, l’incapacità di Giorgio Napolitano di compiere un atto di pacificazione. La tesi di Gaetano Quagliariello che è stato giusto scegliere “il sistema” invece che difendere Berlusconi dall’uso politico della giustizia pur avendo qualche giustificazione nello sbandamento berlusconiano, alla fine non è che l’accettazione (soprattutto per non volersi porre la legittimazione col voto di questa scelta) del “sistema” elitistico dello Stato italiano accentuato dalla crisi della Costituzione dopo il ’92.

Festa, stiamo sull’attualità, la prego…

Matteo Renzi, con tutti i pasticci programmatici che si porta dietro, cercando un rapporto diretto con Berlusconi ha costruito uno spazio che sia Lettino sia Angelino Alfano & soci avevano chiuso. Oggi il centrodestra ha un futuro se si riesce ad aprire lo Stato italiano, se questo Stato non sarà più sottoposto all’elitismo strutturale che lo ha contraddistinto. Renzi offre uno spiraglio in questa direzione che gli alfanoidi comportandosi come una nomenklatura interessata solo ai propri problemi di ceto politico avevano impedito. Naturalmente la strada è molto complicata, c’è poco da essere ottimisti, basta considerare quel che combina la magistratura combattente in questi mesi.

Non vede proprio alcun felice esito per le vicende politiche italiane? Sempre un po’ pessimista lei, o forse realista…

Chiunque voglia fare politica deve avere presente che gli happy end non sono scontati: l’ipotesi – lo spiega bene Gianpaolo Pansa su Libero – che si dia vita a un sistema politico con un partitone-stato egemonizzato da Renzi & friend con un’opposizione antisistema rappresentata da Beppe Grillo, un sistema naturalmente subalterno a qualsiasi influenza straniera perché privo di basi per la propria sovranità e destinato a deteriorare ancor di più la nostra società, è dietro l’angolo. E certe apparizioni di Napolitano da Fabio Fazio danno una mano a un simile esito.

Ma dunque non ci sono speranze, non pensa che l’asse Udc-Ncd aiuti a dare una nuova prospettiva?

L’asse Udc-Ncd è utile per due motivi: perché tutto ciò che aggrega in una fase di disgregazione, è positivo. E perché l’Udc ha quadri di una qualità politica, da Pierferdinando Casini a Lorenzo Cesa, molto superiore a quelli di Ncd, che funzionavano con il movimentismo berlusconiano, ma ora appaiono solo dei notabili senza un chiaro destino. Come qualità culturale si salvano solo Fabrizio Cicchitto e Maurizio Sacconi, che però appaiono del tutto sbandati. Proprio la qualità politica dell’Udc potrebbe aiutare a impostare una nuova fase che si intravede dietro le mosse di José Maria Aznar, dietro alcuni grandi imprenditori stufi degli incapaci sindaci di sinistra e di un certo modo di gestire familisticamente lo Stato tipico di ministri anche Ncd, dietro leader di grandi forze sociali insofferenti per il modo propagandistico e un po’ imbroglione di Renzi nell’impostare le scelte concrete. In questo senso talvolta pare di vedere la fine del periodo della nostalgia da parte di un qualificato ceto politico democristiano udieccino che se saprà assumere scelte coerenti con questo nuovo orientamento aiuterà a ridare uno spazio al centrodestra.

Ma da dove si dovrebbe partire: dal programma o dalla leadership come chiede Giovanni Orsina?

Orsina ha ragione a dire che partire dai programmi è un modo astratto di affrontare la crisi del centrodestra, che il problema è quello di riflettere sulle leadership. Anche qui bisogna stare attenti, però, alle astrattezze: il rischio di inseguire mosche cocchiere come si è fatto in questi anni con Segni, Fini e oggi con Alfano è fortissimo.

E quindi?

Il problema è quello di definire il perimetro di un “campo” da cui partire sia socialmente sia programmaticamente sia come posizionamento: in questo senso tutti quelli che vogliono separare radicali da moderati nel centrodestra (come l’opinionismo “democrat” cerca di fare negli Stati Uniti puntando a emarginare i cosiddetti Tea party) in realtà lavora per il re di Prussia (metafora oggi più che mai vera: ancor più se al “re” si sostituisce la Fondazione Adenauer). In Germania, in Gran Bretagna, in Francia il centrodestra ha vinto quando ha saputo collegare convinti europeisti a euroscettici, questo è tanto più vero in un’Italia che deve recuperare una sovranità nazionale particolarmente colpita tra il 2010 e il 2011 anche per colpa di Berlusconi ma sulla base dell’iniziativa del sistema elitistico di intesa innanzi tutto con Berlino. Nonostante tutto la differenza tra una vittima sia pure un po’ instupidita e un carnefice pur abilissimo, resta un criterio di valutazione per me utile ed eticamente apprezzabile.

Festa, non ho capito la “storia” del programma e del posizionamento?

Il programma deve essere definito mobilitando una cultura specialistica, il posizionamento annunciando le coordinate generali che pressappoco sono queste: 1) l’unica via per risanare l’Italia è presidenzialista o semi presidenzialista, 2) dopo la crisi di sindaci e regioni non si può tornare al centralismo (personalmente pur con riluttanza sto cedendo all’idea delle macroregioni), 3) si deve trovare un modo per evitare la presenza nel nostro Stato e nella nostra società di una magistratura politicamente “combattente” (anche in questo caso c’è una condizione pregiudiziale: la separazione delle carriere), 4) va rilanciata la sussidiarietà e la valorizzazione dei corpi intermedi, 5) Non si deve lasciare l’Europa, che però deve avere una governance rispettosa della sovranità di “tutti” i suoiSstati membri (parlare oggi di federalismo è una presa in giro, forse si possono tentare al massimo soluzioni confederali) e se non si deve pensare di uscire senza mediazioni dall’euro, si deve invece poterne affrontare modifiche ragionevoli (per esempio non è una bestemmia ragionare su una moneta “baltica” e a una “mediterranea”) che vanno certamente negoziate ma senza subalternità né a Berlino né alle tecnocrazie.

Per decidere la leadership del Centrodestra che sarà non possono essere utili le primarie?

Io sono per le primarie ma se non si definisce un “campo di centrodestra” che le regoli, i rom e gli extracomunitari che hanno votato alle primarie del Pd saranno rose e fiori rispetto a quello che può avvenire in un centrodestra “selvaggio”. Le primarie andrebbero studiate, poi, insieme a un sistema di finanziamento dei partiti che fosse definito non in un modo subalterno al gianantoniostellismo cioè all’idea che l’unico criterio di valutazione della qualità della democrazia sia il suo costo. Altrimenti ha ragione Maurizio Belpietro che oltre al Senato propone provocatoriamente di abolire anche la Camera dei deputati.

Ma queste condizioni che lei elenca sono realistiche?

A me pare di sì ma naturalmente sono tutto tranne che ottimista, mi pare che oggi l’iniziativa sia in mano più alle forze della disgregazione che a quelle che cercano di costruire una sovranità popolare/nazionale dell’Italia. Ma mi permetta di mettere in evidenza un aspetto…

Prego.

Voglio mettere in chiaro per i lettori di Formiche.net che è stato il direttore Michele Arnese a volere a tutti i costi che dicessi la mia. L’ho fatto con molta sofferenza perché semplificare questioni complesse espone sempre al rischio di scrivere e dire sciocchezze, e lo faccio premettendo che sono un povero osservatore – sia pure faziosamente partecipe – mentre le scelte oggi spettano soprattutto ai protagonisti.



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