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Perché l’Unione bancaria europea è un gigante zoppo

La sera del 14 aprile, il Parlamento Europeo (PE) ha approvato, a grande maggioranza (570 voti a favore, 88 contrari e 13 astenuti) , l’intesa inter-istituzionale raggiunta a fine marzo tra Commissione Europea (CE), Consiglio dei Ministri Europeo (CME) e PE medesimo in materia di “risoluzioni” (termine elegante per dire “fallimenti”) di istituti di credito tali da poter “contagiare” il resto del sistema finanziario europeo.

Su Formiche.net del 26 marzo abbiamo commentato l’intesa affermando che essa assomiglia ad un “gioco dell’oca” per i numerosi passaggi che comporta ed il centinaio circa di persone coinvolte nel prendere la decisione sull’accesso, o meno, a un apposito ‘fondo di risoluzione’ per facilitare ricapitalizzazioni e ristrutturazioni. L’approvazione da parte del PE rappresenta un “atto politico” più che economico o finanziario. Con l’attuale sessione, tenuta non a Bruxelles ma nella tanto grandiosa quanto poco utilizzata sede del PE a Strasburgo, si chiude, venerdì 18 aprile, la legislatura. Numerosi parlamentari uscenti entrano in campagna elettorale per le elezioni che si terranno, in varie date, a seconda di ciascuno dei 28 Stati membri, a fine maggio. Dopo oltre due anni di negoziati, i parlamentari non volevano lasciare un Unfinished Business ai loro successori. Molti parlamentari europei (anche e soprattutto tra coloro che hanno votato in favore all’intesa) sono consapevoli che la prossima legislatura dovrà riprendere in mano la materia in quanto è stato creato un “gigante zoppo” prima ancora che incompleto.

E’ un “gigante zoppo” in primo luogo perché l’unione bancaria sarebbe dovuta essere un tavolo a tre gambe, come quelli, con un ripiano di marmo, che facevano bella mostra nelle case borghesi dell’Ottocento. Di queste gambe ne manca una: quella relativa alla disciplina comune sui depositi bancari. Quasi alla tredicesima ora, l’intesa approvata dal PE (senza però un voto formale, in pratica con uno strumento, come una risoluzione, che ha minore valore giuridico) contiene l’impegno dei 28 Stati membri dell’Unione Europea a fornire garanzie ai depositi in conto corrente sino 100.000 euro. E’ un impegno che può essere assolto in vario modo; già adesso in numerosi Stati dell’UE in caso di fallimenti bancari, la garanzia dello Stato non vincola sui tempi: ossia se si chiedono allo sportello i 100.000 euro ‘garantiti’ si possono ottenere ‘a rate’, pure pluriennali.

Inoltre, la prima gamba – l’affidamento alla Banca centrale europea (Bce) della vigilanza diretta su 130 ‘grandi’ istituti e l’omologazione delle regole, procedure e prassi di vigilanza da parte delle autorità nazionali (non sempre o necessariamente banche centrali nazionali– sta facendo tremare le vene. La Bce ha costruito una seconda Eurotower ed ha lanciato un vasto programma di assunzioni (si leggono annunci su The Economist quasi ogni settimana). Tuttavia, i primi stress test Bce non sono stati esenti da critiche. Concordo a pieno con il giudizio di Guntram B.Wolff , direttore del centro di ricerche Bruegel, “in questa delicata materia, la Bce può fare errori in perfetta buonafede perché manca di un cultura della vigilanza e deve fondere numerose culture in brevissimo tempo”. E’ fin troppo facile, in queste condizioni, interpretare numeri di bilanci o di rapporti semestrali in modo non corretto. Inoltre – è sempre  Wolff a dircelo – “la vigilanza Bce deve essere parimenti rigorosa con un istituto in Germania ed uno in Grecia nonostante le profonde differenze nelle culture valoriali dei due Paesi”. Dubito che in mancanza di un vero Governo europeo a supporto della Bce ciò possa avvenire.

La gamba appena approvata è molto complessa (come descritto il 26 marzo su questa testata). I rischi irrisolti sono due: a) un bali–in (ossia perdita da mettere a carico di azionisti, di manager e di creditori) non adeguato e b) un sistema decisionale ‘ barocco’ che potrebbe aggravare crisi contenibili e causare corse agli sportelli. In ambedue i casi, in nome dell’Europa, si andrebbe a pescare nelle tasche di contribuenti che già ora ritengono, a torto o ragione, di essere vessati da un UE di cui avvertono più costi che benefici.



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