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Fiat-Chrysler, ecco i 4 miti sbugiardati da Marchionne

Ottimisti o pessimisti che siano, i mutevoli luoghi comuni si basano spesso su falsi miti che l’analisi di Fiat Chrysler aiuta a mettere in discussione. Il futuro dell’industria nei Paesi industriali è possibile, ma si basa su strategie e scelte molto precise che è bene avere molto chiare.

LA QUESTIONE DEL COSTO DEL LAVORO

Il primo falso mito è che il principale parametro di costo sia il salario e che l’unico modo per competere con i Paesi emergenti sia abbassare la remunerazione e limitare altri benefici del lavoro. Certamente tutte le nuove economie industriali hanno mosso i primi passi da attività ad alta intensità di lavoro (abbigliamento, calzature ecc.) e mano d’opera abbondante e a basso costo ha garantito un formidabile vantaggio competitivo iniziale. Se a ciò si aggiungono regole meno stringenti, minori vincoli ambientali, una difesa più limitata dei diritti di proprietà intellettuale, abbondanti sussidi pubblici ed un mercato interno in rapida espansione, abbiamo abbastanza elementi per spiegare la spettacolare crescita della manifattura in paesi come la Corea del Sud, Singapore e più tardi la Cina e l’India.

COME SI DECIDE LA LOCALIZZAZIONE

Teorie e studi empirici di commercio internazionale e geografia economica mettono in evidenza invece come la localizzazione delle attività industriali segua vie complicate che possono solo in parte essere influenzate dal costo di fattori di produzione come il lavoro, da tasse basse o da regole poco stringenti. Elementi come la dimensione del mercato, le economie di scala, i costi di trasporto, le preferenze dei consumatori, le economie di agglomerazione, le conoscenze tecnologiche interagiscono con il costo dei fattori nel determinare la geografia delle attività industriali. Questo vale soprattutto per attività integrate geograficamente come tipicamente è l’automobile.

I VANTAGGI COMPETITIVI

Questa combinazione di elementi genera nel tempo vantaggi competitivi che sono difficili da smantellare e sono dunque profondi. Vantaggi che dipendono dalla disponibilità sul territorio di servizi, infrastrutture e forza lavoro specializzata. Per questa ragione si continuano a produrre automobili negli Stati Uniti, in Germania o in Italia; l’Italia, la Germania e gli Stati Uniti continuano ad essere i maggiori esportatori di macchinari industriali; molte imprese in industrie tradizionali come il tessile riescono comunque a sopravvivere in paesi ad alto costo del lavoro come l’Italia o la Francia.

IL COMANDAMENTO DELLA PRODUTTIVITA’

Insomma, le economie mature non possono fondare la propria competitività sul basso costo del lavoro o su un deterioramento delle condizioni dei lavoratori. La ristrutturazione dell’industria dell’auto americana nel 2009 ha anche implicato tagli considerevoli ai salari e ai benefici per i lavoratori delle Big Three. Ma, come abbiamo visto, questi avevano raggiunto livelli insostenibili, anche in confronto ad altri produttori sul territorio americano. Anche se la concorrenza dai Paesi emergenti certamente mette sotto pressione i lavoratori delle economie industriali, ciò non implica e non può implicare un deterioramento significativo nelle condizioni dei lavoratori. La competitività in questi Paesi deve essere rafforzata riducendo l’incidenza del costo del lavoro in altri modi, soprattutto aumentando la produttività ed il valore aggiunto dei prodotti finiti.

IL SECONDO FALSO MITO

Il secondo falso mito è che ci sia una semplice strategia low cost sostenibile per la sopravvivenza della manifattura nei paesi avanzati. Contenere i costi è ovviamente fondamentale. Nella produzione automobilistica, normalmente questa preoccupazione si traduce in un’ossessione per la scala. Come abbiamo visto, questo è uno dei razionali fondamentali di FCA: abbattere i costi fissi attraverso una crescita dei volumi. Senza l’accordo né Fiat né Chrysler avevano molte possibilità di sopravvivere da sole per insufficienza di scala. Non basta aumentare le automobili costruite. È necessario razionalizzare la gamma dei prodotti offerti accorpandoli in famiglie sufficientemente omogenee da condividere molti elementi in comune, senza tuttavia sacrificare la differenziazione richiesta dal mercato. Come già fatto da molti concorrenti, Fiat e Chrysler insieme possono ottenere scala e varietà di modelli adeguate razionalizzando e combinando le piattaforme.

IL PENDOLO QUALITA’/COSTI

Ma anche scala e varietà da sole non bastano. Occorre qualità, quello che permette ad un’azienda di generare maggiore valore aggiunto, vendendo più auto ad un dato prezzo o facendo pagare un prezzo maggiore per un dato costo di produzione. Come Chrysler, Fiat e molti altri produttori hanno imparato sulla propria pelle, non c’è prezzo abbastanza basso a compensare la cattiva qualità di un’automobile. La compressione dei costi non funziona se implica bassa qualità e poca varietà in un contesto in cui gli investitori devono poter essere ripagati e i lavoratori devono poter mantenere standard di vita adeguati in un quadro regolatorio sofisticato (in termini di norme ambientali, regolamentazione dei prodotti, politica della concorrenza ecc.).

L’ESEMPIO DI RENAULT CON LA DACIA

Mettere in atto questa strategia alta è essenziale per imprese che operano in economie mature. Una strategia bassa, che riduca drasticamente i costi senza investimenti adeguati in qualità, sarebbe un suicidio, costantemente superata al ribasso da imprese dei paesi emergenti. Il che determinerebbe inevitabilmente la chiusura o il trasferimento di buona parte delle attività industriali nei paesi a basso costo del lavoro. Le imprese che perseguono una strategia «bassa» con successo, come Renault con Dacia, basano le loro produzioni low cost nei paesi emergenti. Certo, in molti settori, dove è possibile frammentare la produzione geograficamente e costruire catene del valore globali, è anche possibile che la produzione di alcuni componenti o l’assemblaggio vengano delocalizzati. Ma questa opzione spesso consente di mantenere e rafforzare le attività a più alto valor aggiunto nei paesi avanzati.

IL TERZO FALSO MITO

Il terzo falso mito è che la macchina sostituirà completamente l’uomo e che solo fabbriche completamente automatizzate sopravviveranno in paesi ad alto costo del lavoro. Per ora le macchine non possono sostituire completamente gli uomini. Come abbiamo visto, anche nella produzione di automobili, uno dei settori con il più elevato contenuto di tecnologia. Ovviamente c’è stata un’automazione fortissima dai tempi delle fabbriche-città come Mirafiori o River Rouge della Ford, ma l’assemblaggio delle automobili continua comunque a richiedere diverse operazioni manuali che le macchine non sono in grado di replicare.

IL QUARTO FALSO MITO

Il quarto ed ultimo falso mito riguarda la politica economica e l’idea che per sostenere la manifattura sia necessario preservare lo status quo. Abbiamo visto chiaramente nel caso dell’automobile che durante crisi e recessioni, soprattutto se prolungate come quelle degli ultimi anni, c’è naturalmente la preoccupazione per chi decide la politica economica di evitare la perdita irreversibile della massa critica industriale e dei vantaggi competitivi «profondi» per non trovarsi fuori dai giochi al momento dell’eventuale ripresa. Molto spesso questa preoccupazione si traduce nell’obiettivo di mantenere a tutti i costi i livelli occupazionali di ogni singola impresa anche nel breve periodo. Questo approccio, per quanto comprensibile, perde di vista il fatto che non tutte le imprese, anche in uno stesso settore e anche nello stesso momento storico, hanno lo stesso destino. Ridurre capacità in eccesso chiudendo attività deboli e inefficienti, per quanto doloroso, può servire a ridimensionare l’industria a livelli contingenti compatibili con la domanda finale e con i guadagni di produttività che tecnologia e innovazione, anche organizzativa, permettono di raggiungere. Questo è un processo che può essere salutare, in quanto libera risorse per una futura crescita più vigorosa.


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