Lo Stato italiano ha scoraggiato intere categorie di produttori, li ha spaventati, li ha fatti chiudere, gli ha pignorato i beni, sequestrato locali, sottoposti a processi da incubo e non ha pagato nemmeno ciò che doveva alle imprese che hanno lavorato per la pubblica amministrazione stessa.
La politica ha marchiato d’infamia i produttori, colpevolizzato intere categorie con generalizzazioni orrende, condannato il lusso, la ricchezza, oppresso anche il divertimento. La burocrazia è diventata un killer silenzioso che tutto può prendere e tutto può togliere. Così tantissimi chiudono, pochi resistono, molti se ne vanno all’estero. Si chiude per tasse e iper-regolazione più che per fallimento del mercato e così il sistema si ritorce su se stesso. Però la colpa è degli altri: cinesi, arabi, cambogiani, indiani. Spietati competitori in un mercato in cui gli italiani hanno scelto di non giocare, ma di subire. Dalla politica sono state protette la burocrazia, il pubblico, il fasullo bene comune a scapito dell’impresa, della ricchezza, del lavoro.
Siamo consapevoli che per competere con successo nel mondo globale bisogna rompere schemi, cambiare regole, abbattere barriere, superare poteri deboli, istituzioni consunte, rappresentanze delegittimate. In un mondo veloce, c’è bisogno di dover accelerare almeno il doppio per recuperare il tempo perduto. Vorremmo che si potesse costruire una forza politica di centrodestra capace di essere ciò che Sergio Marchionne, primo manager italiano globale, è stato per il sistema industriale in questi anni. Senza paura delle contestazioni nè delle durezze di chi si oppone al cambiamento, crediamo che anche nella politica e nella cultura ci sia bisogno dei Marchionne.
Uomini e donne capaci di governare la complessità dei fenomeni, di decidere senza lungaggini, di manifestare realisticamente quanto la rivoluzione globale abbia cambiato radicalmente il mondo dell’economia reale, in grado di fornire all’Italia una prospettiva di competizione e forza nell’economia globalizzata.