Di cosa parlano russi e tedeschi? Se lo chiedeva nel 2001 Zbigniew Brzezinski. Quell’anno, mentre l’ex consigliere per la sicurezza nazionale di Jimmy Carter cercava di sciogliere questo dilemma, Gerhard Schröder, da tre anni Cancelliere al Bundestag, e Vladimir Putin, non ancora uomo forte della Russia, trascorrevano insieme il Natale ortodosso. Incontro affatto estemporaneo visto che l’anno prima i due politici avevano dato vita a un “partenariato strategico” tra i due paesi. Progetto che sempre Brzezinski aveva definito “rischioso” ma “pieno di speranze”. A dimostrazione che quando Russia e Germania progettano accordi comuni, difficilmente questi passano inosservati.
LO STATO DEI RAPPORTI TRA MOSCA E BERLINO
Cosa si dicono oggi russi e tedeschi? Qual è lo stato delle relazioni tra Mosca e Berlino dopo che la Russia ristabilendo la “giustizia storica” in Crimea ha inflitto una cocente sconfitta diplomatica proprio al Paese che si era dimostrato il suo partner più affidabile? Naturalmente l’annessione russa della Crimea ha fatto male a tutti, indubbiamente però il dolore più forte lo ha provato la Germania. Perché se mai è esistito un dogma nella politica estera tedesca del dopoguerra, prima Bonn e poi Berlino, questo riguardava le relazioni col Cremlino. Infatti l’assioma tedesco degli anni ’70, moltiplicare contatti politici e scambi economici con Mosca come chiave per far saltare le catene della cortina di ferro, si era rivelato vincente.
IL SALTO DI QUALITA’
Con la nascita della Federazione russa le relazioni tra la Germania giunta ormai alla fine del suo “lungo cammino verso occidente” e la Russia non più comunista dovevano fare un salto di qualità. Perciò ai due pilastri della distensione passata, la nuova Germania vi aggiungeva la colonna della sicurezza europea, cui Mosca andava associata ad ogni costo. Impensabile per Berlino la stabilità continentale senza il contributo russo. E questa era stata la risposta tedesca alle rivoluzioni europee post 1989.
LA FORMULA MAGICA
Vecchio e nuovo credo erano inoltre accumunati da un’unica formula magica: il cambiamento attraverso il riavvicinamento teorizzato da Willy Brandt e da lui messo alla base dell’Ostpolitik. Ma i miracoli come si sa avvengono una sola volta, cosi quello del 1989-91, crollo pacifico dell’Urss e riunificazione negoziata della Germania, con non si è ripetuto con l’integrazione europea della Russia. Per questa nuova scommessa continentale, Berlino aveva fatto affidamento su Dimitry Medvedev tentando il possibile affinché il giovane presidente potesse proseguire il mandato.
LA NUOVA FUNZIONE DEL PARTENARIATO
Il passo indietro imposto da Putin al suo successore-predecessore spiazzava le elite tedesche lasciandole prive di controparte e senza parole e strategie. E se i temi dibattuti tra le due capitali continuavano a essere formalmente identici, le priorità e gli interessi invece differivano sostanzialmente. Da sempre infatti i tedeschi ritengono che alla modernizzazione economica Mosca dovrebbe far seguire quella politica e sociale. Al contrario le elite russe sono interessate esclusivamente al trasferimento delle tecnologie occidentali. Viste le differenze di strategie tra Mosca e Berlino, non è affatto un caso se con la fine del governo guidato da Gerhard Schröder ha segnato anche l’archiviazione del partenariato strategico russo-tedesco. Ciò non ha significato affatto la fine dei rapporti speciali tra i due paesi. Il partenariato continua a esistere ma con Angela Merkel questo è finalizzato “all’innovazione”.
LE PREOCCUPAZIONI DI BERLINO
Il timore tedesco è che ora la questione ucraina potrebbe costringere la Germania a rivedere quel ruolo di ponte tra Europa e Russia costruito negli anni della riunificazione e di cui il paese è geloso. E il tema, dividendo chi “comprende” la Russia da coloro che “criticano” le mosse di Putin, sta facendo esplodere le contraddizioni interne alla politica tedesca. Contrasti che attraversando trasversalmente forze politiche e istituzioni della Repubblica federale lambiscono anche il governo. Nel 2013 il tandem Merkel- Steinmeier è tornato, come durante il conflitto con la Georgia, alla guida della diplomazia di Berlino ma con qualche differenza di vedute rispetto al passato soprattutto da parte del ministro degli Esteri.
LA MISSIONE DI STEINMEIER
Il 19 dicembre scorso Steinmeier era a Varsavia. Nella capitale polacca il ministro ha iniziato il suo secondo mandato criticando la debole politica di Ue e Germania verso l’Ucraina. Ovviamente il socialdemocratico può essere sospettato di eccesso di zelo in quanto desideroso di togliersi di dosso l’immagine troppo filo russa di Gerhard Schröder. A differenza del 2008 ora è però tutta la Spd a vedere la Russia in modo diverso. Complessivamente nella crisi ucraina il duo Cancelliere-ministro degli Esteri ha finora tenuto una posizione intermedia, chiedendo a Russia e paesi occidentali passi distensivi. Soprattutto alla pressione di Berlino si deve il fatto che le sanzioni economiche sono rimaste finora sotto la soglia di rischio.
GLI SPAZI DI MANOVRA PER LA GERMANIA
È possibile che nel caso la frantumazione dell’Ucraina dovesse proseguire, questo atteggiamento si riveli insostenibile per Berlino. E in questo caso le differenze tra Merkel e Steinmeier potrebbero tornare a galla. Se la Cancelliera allo scorso G-7 si è mostrata più aperta alle sanzioni di taglio Usa, il ministro degli Esteri ha invece ribadito come tra “Ue e Russia” non sia in corso nessun “great game”. Lasciando intendere che qualcuno questo grande gioco lo fa o lo vorrebbe fare. Prima della crisi ucraina Berlino aspirava a un mondo multipolare dove l’Ue, in stretti legami economici con la Russia, era in competizione con Usa e Cina sul mercato globale. Ora Berlino cerca di capire se le mosse americane siano in linea con gli interessi europei. Se Mosca dovesse però continuare a puntare su confronto e rivalità, gli spazi di manovra tedeschi si restringerebbero. Difficile dire che questo rappresenterebbe un buon risultato per il Cremlino.