Mi pare che vi sia”confusione governativa” sulle reali priorità del Paese e sulle modalità per perseguire dette priorità.
Piani di sviluppo, alla voce “politica industriale del Paese”, ancora non se ne vedono. Se il bonus IRPEF da 80 Euro in busta paga rappresenta un palliativo e nel miglior dei casi un elemento di partenza, con tutta la buona volontà e anche accettando che le coperture esistano, non appare come misura davvero rilevante ai fini di una realistica ripresa. Soprattutto se il Decreto Irpef prevede un aumento dell’aliquota dal 20 al 26%, a partire da luglio prossimo, sulle rendite finanziarie, i conti correnti e conti postali, azioni, obbligazioni, conti deposito e fondi di investimento. Una nuova tassazione tesa a scoraggiare gli investimenti.
Come dire: utilizzo una risorsa-chiave del Paese – il risparmio dei privati – per frenare la spesa pubblica e “meglio distribuire ricchezza”. Un esercizio semplice e illusorio, oltre che essenzialmente sbagliato e dannoso.
Altresì, in luogo di una politica industriale assente e di un piano di sviluppo invisibile, diventa improvvisamente prioritaria la legge sul divorzio breve. Ora qualcuno dovrà pur spiegare l’urgenza della misura. Una misura che mira a disgregare con modalità ancor più semplici e agevoli quella che – teoricamente e laicamente, ma sempre su un piano naturale, la famiglia – dovrebbe rappresentare l’entità portante della società. L’entità-famiglia contiene in sé elementi fondativi della cooperazione, ma anche della competizione, dello sviluppo, della visione a lungo termine. Invece no: per il Governo è più importante accedere ad un istituto immanente alla società garantendo alla coppia strumenti più agevoli per disgregarne l’unità. Gli effetti? La Commissione Giustizia della Camera ha dato il via libera al testo base, con le novità che vanno a modificare l’Art. 3 della legge n. 898/70 sul divorzio. I tempi richiesti saranno abbreviati, basterà un anno di separazione contro gli attuali tre, e renderanno più semplice l’iter per lo scioglimento del vincolo matrimoniale. Se poi aggiungiamo le ultime proposte del ministro della Giustizia, in caso di addio consensuale non sarà più necessario per i coniugi apparire davanti ad un giudice, ma sarà sufficiente un accordo coi rispettivi avvocati.
Mi pare chiaro che, in una fase di watering down che si propaga rapidamente, la vision a supporto di questo progetto di legge ricalchi quella che 40 anni fa portò tanti cattolici a votare per il divorzio: ovvero la convinzione che non ci sia relazione diretta tra etica ed economia, etica e società, etica e politica. Si vuole cioè imporre una visione che separi famiglia (e vita) da economia, infrastrutture, politiche sociali e così via, abbandonando le prime ad un’elìte autoreferenziale fissata con le proprie ideologie. Visione sempre più diffusa e accettata, per la quale schierarsi contro il divorzio e per la promozione della famiglia naturale costituisce il tentativo vetero-conservatore di imporre la morale cattolica a una società laica.
Ma proprio per niente: si veda la laicissima Francia, dove le politiche familiari di incentivazione e defiscalizzazione garantiscono un tasso demografico superiore al cd. tasso di sostituzione. Se dunque il Governo vorrà comprendere l’importanza della famiglia come fondamento su cui si costruisce, evolve e si sviluppa la società pena la sua cancellazione dalla storia, e non uno dei tanti punti all’ordine del giorno, allora la vision di strategia economica del paese assorbirà quelle premesse per un vero sviluppo.
A 40 anni dal referendum sul divorzio, anziché introdurre il divorzio breve, bisognerebbe riflettere sui risultati ottenuti ad oggi, e ridare un ordine di priorità dove – tra gli altri – famiglia vita e libertà di educazione costituiscano premesse essenziali.
C’è l’intenzione di capirlo?