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Europee e Ue, quanto paga e quanto incassa l’Italia

Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo l’analisi di Tino Oldani apparsa su Italia Oggi, il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi.

C’è l’Europa dei soldi, e c’è l’Europa dei valori morali. In entrambe, l’Italia è messa male. Nessun leader politico ne ha parlato in questa campagna elettorale, e questo mi induce a pensare che anche dopo il voto di domenica non cambierà nulla, o ben poco. Non è pessimismo, ma una previsione basata sui fatti. Prendiamo l’Europa dei soldi. Per ogni euro che versa all’Unione europea, l’Italia riporta a casa appena 60 centesimi, e li spende non male, ma malissimo.

COME FUNZIONA IL SALDO NEGATIVO

Il sistema funziona così. Ogni Paese contribuisce al bilancio europeo con l’1% del pil nazionale. Nel 2013 l’Italia ha così versato nelle casse di Bruxelles circa 15 miliardi di euro e ne ha riportati a casa poco più di 9 da investire in progetti che, in teoria, dovevano rilanciare l’economia, ma in realtà hanno ingrassato le clientele. È un andazzo vergognoso che dura da anni. Rispetto al contributo versato, l’Italia ha perso 5,4 miliardi nel 2012, addirittura 7,4 nel 2011, ben 6,5 nel 2010, e così via. In dieci anni abbiamo versato nelle casse europee 159 miliardi di euro (presi dalle tasse pagate in Italia), e ne abbiamo ripresi appena 104: in totale, 55 miliardi persi, buttati via per grave insipienza politica, sia a livello nazionale che regionale. Mancavano i progetti sui quali investire. E quando sono stati presentati e finanziati, il risultato è stato deprimente: a malapena l’Italia è riuscita a spendere il 52,7% dei fondi comunitari assegnati.

NON E’ UNA NOVITA’

Questo saldo negativo tra il dare e l’avere con l’Europa non è una novità. Su internet si trova ancora il libro bianco che nel 2006 l’allora ministro per le politiche europee, Emma Bonino (governo Prodi), dedicò allo scarso utilizzo dei fondi europei, promettendo un maggiore impegno per il futuro. Da allora non è cambiato nulla. Il Censis lo ha confermato di recente: pur essendo al 12.mo posto nella graduatoria europea del pil, l’Italia è il terzo «contribuente netto» dell’Ue, finanzia il 12% del bilancio europeo (pari a 140 miliardi), ma non riesce mai a riportare a casa i soldi che versa. Meglio di noi fanno altri Paesi, considerati «percettori netti», come la Polonia che porta a casa 8 miliardi l’anno più del versato e la Spagna con 3,1 miliardi. Perfino la Grecia ci supera, incassando ogni anno 4,6 miliardi più del contributo pagato.

COME SONO STATI SPESI I SOLDI

Se poi si va a vedere come sono stati spesi i soldi europei, c’è da restare allibiti. Invece di investire in progetti di ricerca, innovazione delle tecnologie e ammodernamento delle infrastrutture come dovrebbe fare un Paese industriale degno di questo nome, l’Italia si è distinta per i finanziamenti a pioggia, destinati alle iniziative più incredibili. Per averne un’idea basta leggere due libri, il primo di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo («Se muore il Sud», Feltrinelli) e il secondo di Mario Giordano («Non vale una lira», Mondadori). Vista dalla Sicilia con gli occhi di Stella e Rizzo, l’Europa non è altro che una allegra dispensatrice di mance alle clientele politiche («Currìti! Currìti! Piccioli europei pì tutti!»): 3.541 euro alla trattoria Don Ciccio di Bagheria, specialità «pasta cu finocchi e i sardi»; 12.075 euro all’impresa edile Pippo Pizzo di Montagnareale; 2.271 euro alla gelateria Mozart di Castelvetrano; perfino 3.264 euro all’agenzia funebre Al Giardino dei Fiori di Gangi. Non solo. In Sicilia non sembra esserci un solo evento sportivo che non sia stato finanziato da Bruxelles: 188 mila euro per la maratona di Palermo (due edizioni); un milione e mezzo per il concorso di salto a ostacoli; 2,4 milioni per i mondiali di scherma; 127 mila euro per il volley femminile. Attività che con i fondi europei per lo sviluppo non hanno nulla a che fare.

IL CLIENTELISMO DEL NORD E DEL CENTRO

Oltre a quello del Sud, l’Italia ha fatto conoscere a Bruxelles anche il clientelismo del Nord e del Centro. Tra il 2011 e il 2012, segnala Mario Giordano, il Friuli Venezia Giulia è riuscito a ottenere decine di migliaia di euro per finanziare corsi di long drink e cocktail nelle principali città della Regione. La Lombardia ha ottenuto 2.239 euro per «controllare la genuinità della polenta valpadana» e altri 18.095 per «le tecniche di pizzeria» di Tolmezzo; idem in Piemonte, dove tra i tanti progetti insulsi spiccano i tremila euro destinati a una ditta di onoranze cimiteriali di Baveno. Nel Centro Italia sono arrivati finanziamenti a pioggia per le scuole di tattoo, spuntate come funghi dall’oggi al domani, il che aiuta a capire come sia cresciuta questa moda tra i giovani. Idem per i centri massaggi: quello di Serrungarina nelle Marche ha preso 817 euro, mentre il Dharma Centro Massaggi a Civitanova Marche ne ha incassati 2.971. Più robusto il contributo allo Sport Village di Castel di Sangro: 80 mila euro.

L’EUROPA DEI SOLDI SPESI MALE

Si potrebbe continuare con i fondi agricoli europei destinati alle gare di motocross, ai circoli del golf, alle scuole di equitazione, il tutto grazie alla complicità tra politici miopi, clientele fameliche e burocrati strapagati quanto indifferenti al pessimo uso dei fondi Ue. Questa è l’Europa dei soldi spesi male, che vorremmo non vedere più. Anche perché è questa Europa che, mentre dispensava mance, ha distrutto i valori della tradizione culturale europea per imporne una diversa, mai votata da nessuno. Ha scritto Giordano: «È l’Europa che celebra le festività sikh e indù, ma vuole cancellare il Natale; che vieta il crocifisso e punisce chi lo indossa; che non riconosce le proprie radici cristiane; che propone l’insegnamento della masturbazione negli asili o l’abolizione del concetto di mamma e papà (meglio il più neutro genitore 1 e genitore 2); che ha perso i riferimenti morali. L’Europa che si è svenduta all’euro». Tutto vero, purtroppo. E cambiare questa Europa matrigna, per rilanciare il sogno di un’Europa solidale, prospera e democratica, non sarà facile per nessuno


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