Delle tante scommesse che attendono Matteo Renzi in queste Europee, una può già dire di averla vinta. Sicuramente il Pd con lui a Palazzo Chigi ha maggiore appeal elettorale rispetto al Pd con Enrico Letta a Palazzo Chigi.
Il maggiore carisma comunicativo, il piglio più decisionista, un partito e un esecutivo apparentemente più coesi attorno al loro leader rendono l’offerta renziana più forte di fronte alle urne.
Gli elettori avrebbero forse capito poco infatti il perdurare di un partito schizofrenico, spaccato in due, una parte al governo con Letta e un’altra che criticava l’azione di governo con Renzi.
Così, dopo le tante critiche ricevute per l’accoltellamento fratricida e l’arrivo all’esecutivo senza passare dalle urne, alla vigilia del voto si può affermare, elettoralmente parlando, che questa operazione ha funzionato. Il Pd targato Renzi, con Renzi a capo dell’esecutivo, è più credibile.
Basterà? Qui sorgono i dubbi. Perché Renzi a capo delle istituzioni perde tutta quella carica antiistituzionale, vera forza del fu Rottamatore. E in questo avvantaggia nella corsa il suo avversario numero uno, Beppe Grillo.
Il premier ha dovuto ricalibrare il suo messaggio, renderlo “di lotta e di governo”, opporre il fare al disfare. Ed è naturalmente più facile rinfocolare la rabbia che riaccendere una sopita speranza. Parla di cose fatte, Renzi, di numeri anche se, complice la “palude” con cui deve fare i conti in Parlamento, molto del suo ambizioso programma di governo resta per ora solo uno spot o un annuncio.
Proprio questa è l’altra sfida impossibile che lo attende. Chiusa la parentesi elettorale, riuscirà a portare a casa le riforme o dovrà scendere a compromessi con le altre forze che compongono la maggioranza? E fino a quanto sarà disposto a concedere prima di scegliere di ripartire dal via, ritornando alle urne?
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