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Egitto, ecco perché la priorità di al Sisi è l’economia

Pubblichiamo un articolo dell’Ispi tratto da un dossier sulle elezioni in Egitto

Sarà forse l’estate. O l’approssimarsi del Ramadan che per ogni giorno di digiuno garantisce un iftar: la festa serale in famiglia, nell’abbondanza di cibo e di gioiose lanterne colorate. Ma qualche piccolo segnale di miglioramento s’incomincia a vedere anche nella stagnante economia egiziana.

UN LEGGERO MIGLIORAMENTO

Le riserve in valuta della Banca centrale, che a febbraio con le dimissioni del governo Beblawi, erano a 14,9 miliardi di dollari, a fine aprile sono risalite a 17 e mezzo. Nulla di fenomenale: garantivano due mesi e mezzo di importazioni allora, ne coprono poco più di tre mesi oggi. Ma è un segnale. “L’aumento è da attribuire al leggero miglioramento delle entrate del turismo, nell’aumento di quelle del Canale di Suez e dall’assenza di obblighi esterni (debiti da onorare, n.d.r.) il mese precedente”, ammetteva una fonte della Banca centrale, citata dalla newsletter di AlexBank. Ad aprile, infatti, anche l’amministrazione del Canale aveva annunciato entrate per oltre 438 milioni di dollari: un aumento dell’8%, rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. La crisi globale sta lentamente diminuendo, circolano più merci.

UN PROBLEMA INTERNO

Ma il problema economico dell’Egitto non è la depressione finanziaria dell’Occidente, in particolare della Ue: quanto meno non lo è in modo evidente come per il Maghreb. Il problema egiziano è in grandissima parte egiziano e può essere riassunto in due parole: ordine e riforme.

La stabilità politica, l’ordine pubblico e sociale, la sicurezza sono ormai priorità assolute per gli egiziani: passato l’entusiasmo per piazza Tahrir e i suoi seguiti, il plebiscito a favore di Abdel Fattah al Sisi fra coloro che voteranno alle presidenziali, sarà figlio di questa forte necessità. Il terrorismo, non solo nella penisola del Sinai, è una pericolosa realtà. Ma l’uso politico che ne fanno le autorità egiziane – definendo terrorismo qualsiasi forma di opposizione al pensiero unico imposto dal sistema – sta cancellando quel che resta della democrazia in Egitto. Sul tema sicurezza il governo provvisorio e al Sisi nelle sue dichiarazioni elettorali, assomigliano sempre di più agli israeliani e a Bibi Netanyahu quando parlano di palestinesi.

ORDINE E SICUREZZA

Senza ordine sociale e sicurezza nazionale è difficile far partire un programma di riforme economiche, muovere gli investimenti interni e attrarre quelli esteri. Senza una vocazione alle riforme, la missione diventa impossibile. Sta diventando difficile quantificare esattamente l’aiuto in buona parte a fondo perduto di Arabia Saudita ed emirati del Golfo.  Sauditi, Kuwait e Emirati Arabi Uniti hanno già sborsato 12 miliardi di dollari. Ma gli Emirati da soli hanno un programma di investimenti e in parte d’aiuti per 30, forse 40 miliardi: fra cui un milione di nuove case popolari per gli egiziani meno abbienti.

NUOVI AIUTI

Un nuovo pacchetto di aiuti da tre miliardi, sotto forma di prodotti petroliferi, arriverà in Egitto entro ottobre. Ed è molto probabile che dopo l’elezione di al-Sisi, anche il Qatar che aveva sostenuto i Fratelli musulmani, si riavvicini al nuovo ordine egiziano, garantendo altri aiuti. Dal punto di vista strategico l’Egitto è il paese più importante della regione: di gran lunga più della Siria.

Gli ormai dimenticati 4,8 miliardi offerti dal Fondo monetario internazionale due anni fa, in cambio di riforme, scompaiono di fronte a quelle cifre. Ma non è così. L’aiuto arabo, politicamente guidato dall’Arabia Saudita, sta permettendo all’Egitto di non fallire, non di avviare un decollo economico che inizierà solo con le riforme indicate dal Fondo monetario: a partire dai sussidi al carburante e agli alimentari dei quali non ha mai beneficiato la sezione più povera e più ampia della società egiziana.

LE RIFORME CHE MANCANO

Contrariamente alle loro tradizioni quando si tratta di aiuti economici ai fratelli arabi, anche gli Emirati hanno incominciato a chiedere all’Egitto di avviare riforme strutturali. L’importanza del pacchetto che aveva offerto il Fondo monetario non è nella cifra ma in ciò che “politicamente” rappresenta, se concesso: un’apertura globale di fiducia all’Egitto, capace di muovere nel mercato internazionale investimenti strategici.

Sarà Abdel Fattah al Sisi l’uomo migliore al momento giusto? A ogni latitudine e con ogni ideologia politica, i militari non hanno mai dimostrato di saper maneggiare l’economia. Quelli egiziani che ne hanno una loro da proteggere – dovrebbe valere fra il 10 e il 25% di quella nazionale – in apparenza sembrano i meno attrezzati.

Ugo Tramballi è giornalista del Sole 24 Ore


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