La prima mossa da premier di Narendra Modi, che l’Economist ha soprannominato “l’uomo forte dell’India”, ha già lasciato il segno. La fotografia della sua stretta di mano con il primo ministro pachistano Nawaz Sharif, invitato alla cerimonia di insediamento a New Delhi il 27 maggio, ha fatto il giro del mondo. E ha sollevato la speranza che i due paesi, che hanno combattuto tre guerre sin dalla loro indipendenza dal Regno Unito nel 1947, possano avviare un nuovo processo di pace.
I DOSSIER DA DISCUTERE
Durante l’incontro bilaterale, Modi ha esortato il suo omologo pachistano ad accelerare il processo contro i militanti sospettati di fare parte del gruppo islamico Lashkar-e-Taiba, responsabile degli attentati di Mumbai del 2008, che fecero oltre 160 morti. L’accusa lanciata da New Delhi che dietro gli attacchi ci fossero i servizi segreti pachistani inasprì ulteriormente le relazioni tra i due paesi e la visita di Sharif nella capitale indiana è la prima di un leader pachistano da allora. Secondo quanto riferito dalla segretaria del ministero indiano degli Esteri, Sujatha Singh, Modi ha posto l’accento sulle “preoccupazioni relative al terrorismo” e ha invitato il Pakistan a “rafforzare il proprio impegno affinché il suo territorio e il territorio sotto il suo controllo non siano usati come basi terroristiche contro l’India”.
I RAPPORTI COMMERCIALI
Il premier indiano ha inoltre auspicato che i due Paesi procedano alla normalizzazione dei rapporti commerciali. Nella sua analisi, l’agenzia di informazioni finanziarie Bloomberg ha sottolineato l’importanza di riannodare le relazioni economiche a cavallo della frontiera. Pur condividendo un confine lungo quasi tremila chilometri e parlando due lingue facilmente comprensibili, gli scambi commerciali tra i due Paesi lo scorso anno sono ammontati a 2,6 miliardi di dollari, che equivale a meno dello 0,5 per cento del volume totale di affari realizzato dall’India con altri paesi.
TONI ASPRI
L’invito di Modi, che in campagna elettorale aveva usato toni aspri contro il Paese vicino, ha colto molti di sorpresa. Secondo il New York Times, una mossa diplomatica del genere normalmente “avrebbe sollevato un’ondata di dibattiti e polemiche in India, anche tra i suoi sostenitori di destra”. Ma il nuovo premier si è potuto concedere questo “inusuale livello di libertà” grazie alla schiacciante vittoria appena riportata alle elezioni, con il suo Bharatiya Janata Party che ha ottenuto 282 seggi con il 31 per cento delle preferenze. Anche il Times of India ha rilevato che il motivo principale per cui un processo di pace potrebbe avviarsi mentre Modi e Sharif sono in carica è che “entrambi i loro governi hanno forti mandati nei rispettivi Paesi”.
I MOVIMENTI DIPLOMATICI
Presenti alla cerimonia di giuramento del nuovo premier indiano erano anche i leader di Afghanistan, Sri Lanka, Nepal, Maldive, Bhutan, Mauritius e Bangladesh, con ognuno dei quali Modi si è intrattenuto in una serie di colloqui bilaterali. Come si legge nell’editoriale dell’Hindustan Times, l’India non deve “sottovalutare i rapporti con gli altri Paesi vicini”, che rappresentano il cuore della sua attività diplomatica: “Se l’India riuscirà a integrarsi economicamente e politicamente con i suoi vicini più piccoli ne avrà benefici dal punto di vista finanziario e della sicurezza. I problemi che entrano in gioco qui non sono inestricabili come quelli con il Pakistan”.
COLLOQUI COSTRUTTIVI
Da parte sua Nawaz Sharif ha definito i colloqui a New Delhi come “buoni e costruttivi” e una “storica opportunità” per entrambi i paesi. Di ritorno a Islamabad, però, il premier è stato accolto da un’ondata di critiche per non aver sollevato la questione della regione contesa del Kashmir. I media pachistani si sono mostrati piuttosto scettici sulla reale volontà di procedere sulla via della distensione. Nel suo editoriale, Dawn ha scritto che “come sempre, ci sono forti interrogativi sulle intenzioni e/o la capacità di entrambe le parti di portare avanti la retorica della pace”. Alla stretta di mano tra i due leader dovranno fare dunque seguito azioni politiche e un’agenda condivisa. Come ha sottolineato il quotidiano pachistano The Nation nel suo editoriale, “Se si vogliono fare veri progressi, bisogna andare oltre il simbolismo”.