Lo schieramento vasto e disaggregato di Centrodestra è in palese depressione. Non solo per i non molti voti conseguiti il 25 maggio, visti complessivamente o per ogni movimento politico dello schieramento. Ciò che colpisce l’osservatore è lo sgomentoso argomentare di una serie infinita di singoli esponenti sull’insuccesso dell’avversario diretto, piuttosto che sul proprio.
Così nel definire vittoria la raccolta di seicentomila voti (puntualizzazione di Lorenzo Cesa circa il reale apporto del Ncd alle liste comuni con l’Udc), in verità assolutamente modesta anche come prima uscita elettorale. Così nel considerare marginale quello che è, con FI, politicamente ed elettoralmente, un autentico terzo polo rappresentativo dei centristi e dei moderati italiani. Per non parlare della assenza totale di analisi autocritica che compete sempre doverosamente anche a chi abbia, invece, ottenuti risultati brillantissimi come quelli di Renzi, che mai aveva potuto prevedere di raggiungere quasi il 41 per cento dei suffragi.
Dopo le prime valutazioni generali e i calcoli della serva circolati sulla grande stampa, i dati più professionali e credibili forniti dall’Istituto Cattaneo, che ha analizzato i flussi elettorali in 11 città italiane, lo schieramento di centro-destra – salvo minime quote limitate a Genova, Parma e Firenze – non ha perso alcunché a favore di Renzi, mentre milioni di vecchi elettori si sono rifugiati nel calderone dell’astensionismo. L’elettorato, piuttosto, non ha apprezzato il frazionamento dello schieramento centrista e non ha giudicato adeguati i nomi dei candidati proposti. Del tutto diverso il caso di Scelta civica, il cui collasso (in verità preventivabile senza bisogno di essere degli esperti) è andato totalmente a travasarsi nel Pd di Renzi.
A leggere dichiarazioni, dettagli personalistici di trombati, persino considerazioni un po’ più seriose di studiosi e militanti, la possibilità di recupero elettorale dei centristi ricadrebbe principalmente su formazioni che hanno ricevuto meno consensi, mentre per Forza Italia, non ci sarebbe altra carta da giocare che quella di obbligare Berlusconi a scansarsi e a fare emergere nel suo partito un nuovo ceto politico: non identificabile però in nessuno dei suoi eletti in Europa, sia del Nord come del Sud.
Francamente siffatte stime appaiono frutto di un profondo sconforto di chi è stato personalmente sconfitto e non si è neppure accorto della propria obbiettiva insignificanza rispetto alla spinta elettorale verso radicali riforme strutturali e costituzionali che ha terremotato la geografia politica italiana. Farebbero persino tenerezza, certi spropositi, se non provenissero da personalità che masticano di politica da anni e anni e non hanno ancora imparato che il desiderio non è realtà e che la cooptazione è finita e il consenso occorre conquistarselo con proposte serie e comprensibili e non per intimi rancori o perché si ricopre un elevato ruolo istituzionale.
Ciò va detto con franchezza, giacché il mondo dei centristi e dei moderati è obbiettivamente maggioritario nel Paese, e non può continuare ad essere rappresentato da gruppuscoli che a stento riescono ad ottenere qualche zerovirgolaqualcosa appena sufficiente a non lasciarlo ai pali di una competizione politica: che non si affronta con gelosie e vendettismi tribali.