Un vecchio leit-motiv nel dibattito sulla sicurezza energetica afferma che, se è vero che l’Europa è strettamente dipendente dalle forniture russe di energia, al tempo stesso è la Russia ad avere nell’Europa il suo unico mercato di sbocco, almeno per quanto riguarda l’export di gas naturale: e questa reciproca dipendenza rafforza l’incentivo alla cooperazione tra cliente e fornitore, in una sorta di equilibrio di Nash in cui nessuno dei due “giocatori” ha interesse a deviare dalla strategia concordata (ovvero interrompere gli acquisti, per l’Europa, o le forniture di gas, per la Russia). Un equilibrio, peraltro, “blindato” dalle tipologie contrattuali (take-or-pay) che storicamente regolano il commercio di gas tra la due aree.
LE RAGIONI DEL DISEQUILIBRIO
Questo equilibrio, che ha retto bene fino alla crisi del 2008, negli ultimi anni ha iniziato a palesare alcuni limiti. Da un lato, una congiuntura penalizzante ha ridotto la domanda di gas naturale nel Vecchio Continente, riducendone quindi la dipendenza dalle importazioni russe. Dall’altro, l’entrata sul mercato europeo di un ampio volume aggiuntivo di capacità produttiva da fonte rinnovabile (diretta concorrente del gas nella generazione di elettricità), la costruzione di nuovi terminali di rigassificazione (sia sul Mediterraneo che in Nord Europa) e, last but not least, la scoperta di nuovi sistemi estrattivi (shale gas) negli Stati Uniti, hanno ampliato il ventaglio delle possibili alternative all’oro blu di Mosca.
LA RINEGOZIAZIONE
Negli ultimi anni Gazprom si è così trovata nella condizione di dovere rinegoziare (verso il basso) numerosi contratti, al fine di preservare la propria quota di mercato e cristallizzare uno scenario che si stava evolvendo in senso sfavorevole: dal 2008 in avanti i principali acquirenti nel Vecchio Continente hanno chiesto, e ottenuto, sconti sulle forniture rispetto agli accordi originali. Del resto, se è vero che la miglior cura ai prezzi elevati sono i prezzi elevati (dal momento che incoraggiano il ricorso a fonti alternative), vale anche l’opposto: quale miglior disincentivo a investire in rigassificatori/fonti alternative che una fornitura di gas costante ai prezzi di mercato? E’ questa filosofia che ha spinto Gazprom a cambiare atteggiamento negli ultimi anni.
DOMANDA E OFFERTA
Ovviamente quella dello sconto ai clienti non è la soluzione ottimale: per mantenere costanti i volumi di vendita complessivi di gas, a fronte di un mercato cedente, l’alternativa più valida sarebbe quella di trovare un altro cliente affamato di energia, cui vendere il proprio prodotto. La scelta non poteva che ricadere sulla Cina, e l’arroccamento di Europa e Russia su posizioni contrapposte nello scacchiere ucraino (condito da minacce di sanzioni) è stato probabilmente il fattore decisivo per sbloccare una trattativa che da oltre dieci anni attendeva di andare in porto. Era comunque chiaro che, a fronte di un mercato asiatico sempre più competitivo e con l’economia russa in persistente affanno, prima o poi le resistenze da ambo le parti sarebbero state superate: alla fine l’ha spuntata chi teneva il coltello dalla parte del manico – Pechino – ottenendo un prezzo inferiore rispetto a quello inizialmente richiesto da Gazprom, ma ciò che più conta è che per 30 anni (tale è la durata prevista del contratto) la Russia potrà diversificare per la prima volta i flussi di gas al di fuori del Vecchio Continente. Quali saranno le conseguenze per l’Europa?
UN BACINO DIFFERENTE
E’ difficile avanzare ipotesi di impatto di un contratto che, nella migliore delle ipotesi, entrerà in vigore nel 2018, ovvero quando i 3200 Km che separano i giacimenti di gas siberiani dalla Cina saranno coperti dalla pipeline “Power of Siberia”. Ma è possibile trarre alcune considerazioni di massima sugli esiti possibili. Innanzitutto i numeri: l’accordo prevede, a regime, la consegna di 38 miliardi di metri cubi/anno di gas naturale, poco meno di un quarto del totale delle importazioni europee dalla Russia del 2012, o in altri termini, circa lo stesso volume di gas che l’Europa ha smesso di consumare dal 2008 al 2012, per i motivi prima esposti. Il gas dovrebbe peraltro provenire da un bacino differente da quello europeo, evitando quindi gare al rialzo tra Europa e Cina per l’accaparramento delle risorse russe. Uno scenario di questo genere vedrebbe certamente, ceteris paribus, un incremento del potere di mercato della Russia in tema di ricontrattazione delle forniture verso l’Europa, ma probabilmente non ancora sufficiente a rimettere in discussione l’equilibrio energetico tra le due potenze.
IL DILEMMA
A ogni pressione russa è corrisposto in passato uno sforzo europeo verso la diversificazione delle fonti – ovvero un declino della dipendenza energetica da Mosca. Nell’ipotesi che questa tendenza possa confermarsi in futuro (ovvero che l’Europa possa credibilmente diversificare le linee di approvvigionamento) per la Russia si palesa un dilemma: mantenere un atteggiamento rigido massimizzando il payoff di breve periodo (ma con il rischio di diminuire sempre più la dipendenza europea, e quindi le vendite, nel lungo termine) o tenere un atteggiamento accomodante (accettando minori incassi nel breve termine) che allontani la minaccia di potenziali competitor?
LA SCELTA DI MOSCA
Di recente Mosca pare avere scelto la seconda strada: il contratto di revisione verso il basso del pricing delle forniture di gas a Eni, siglato due giorni dopo la stipula dell’accordo sino-russo (cioè quando Gazprom potenzialmente aveva più frecce nella sua faretra) può certamente essere considerato un gesto in direzione dell’Europa. Mentre l’accordo con la Cina, di fatto, per ora non fa altro che accrescere il potere ricattatorio di un paese che – per via del suo peso su alcuni mercati Ue – già possiede abbastanza armi di persuasione, ma che, per le possibili conseguenze, non può utilizzare che marginalmente – con buona pace del “Power of Siberia”.
UN ACCORDO IMPORTANTE
Quanto detto finora riguarda il mercato europeo e i rapporti tra la Russia e il Vecchio Continente in un arco di breve- medio termine. Nel lungo periodo le conseguenze sono di portata molto più ampia. Il fatto che (per quanto considerevoli rispetto ai volumi scambiati in Europa) i flussi di gas diretti dalla Russia in Cina copriranno solo una frazione del totale della domanda cinese nel 2020, non toglie importanza all’accordo appena stipulato: il prezzo concordato, pur riferendosi a una quota minoritaria del totale del gas che verrà commercializzato in Cina, nel lungo periodo potrà infatti costituire il benchmark per le importazioni di gas nel continente euroasiatico.
LA RICOMPOSIZIONE DEL MERCATO
Non solo: buona parte del gas utilizzato in futuro in Asia proverrà dallo sfruttamento degli ampi giacimenti interni, in particolare di shale gas, di cui la Cina possiede di gran lunga le maggiori riserve mondiali (e che in questi giorni ha iniziato a essere commercializzato per la prima volta). L’accordo commerciale tra i due Paesi, in altre parole, spiana la strada a una ricomposizione del mercato mondiale dell’energia lungo la direttrice Mosca-Pechino. Le conseguenze economiche, strategiche e geopolitiche di questa rivoluzione energetica sono ampie, e vanno oltre l’oggetto della nostra analisi. Questo è un tema che affronteremo con maggiore dettaglio in futuro.
La competitività dell’accordo con la Russia
Prezzo all’importazione per fonte, Us$/mmbtu, fonti varie
Gli spazi di crescita per il gas russo? In Asia
Gas naturale, mld di mc/anno, fonte Bp Energy Statistics