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Suor Cristina spopola, ma serve a popolare anche le chiese?

Non poteva mancare l’ormai onnipresente richiamo alle “periferie”. E se il Papa, da un anno a questa parte, invita la Chiesa a mettersi in uscita, ad andare là dove i “bambini non sanno neanche farsi il segno della Croce”, ecco che anche suor Cristina Scuccia, vincitrice dell’edizione italiana di The Voice, è andata “in periferia”. Lo dice padre Raffaele Giacopuzzi, direttore del Good news festival, rassegna di musica cattolica (vinta un anno fa proprio dalla religiosa siciliana), che definisce addirittura “meravigliosa” l’accoppiata con J-Ax.

Sì, quello che – ha ripetuto a Repubblica – lanciava appelli pubblici per la liberalizzazione delle droghe leggere: “Sono stato discriminato esattamente come lei. Io sono andato in tv a cantare di legalizzare la marijuana, lei a dire il Padre Nostro”, ha spiegato convinta il rapper protettore di suor Cristina. Che ora si gode il successo, conferma di voler diventare “suora per sempre” (i voti devono essere confermati a luglio, e solo dal 2015 diverranno definitivi) e pensa a un disco. La superiora, suor Agata, guarda e riflette: “Ha voluto donare agli altri il suo talento, ma il resto è qualcosa che non appartiene né a lei né a noi”.

il dibattito su quanto possa servire la vittoria della religiosa è aperto più che mai. La Chiesa se ne gioverà? Le periferie saranno attratte a Dio dalle canzoni di Neffa interpretate da suor Cristina, pronta a brandire il crocifisso che tiene al collo mentre canta No one di Alicia Keys? Non pochi ne dubitano. Padre Giacopuzzi plaude e basta, e pazienza se la tradizione del gregoriano va in soffitta e pure le religiose – neanche fossero comparse di Sister Act – si danno al repertorio pop: “Il rock ormai si ascolta anche alle feste parrocchiali”, dice. Per la verità si ascolta anche in Chiesa, dove bonghi e chitarre, batterie e percussioni spesso hanno rimpiazzato i gloriosi organi antichi. Anticaglie inutili, bisogna adeguarsi “tradurre il Vangelo in lingua locale”.  E’ così da trenta, quarant’anni, fin dall’esordio delle messe Beat, dove i canti liturgici venivano intonati anche dai sacerdoti, nonostante il testo presentasse più d’uno strafalcione teologico.

Questo supposto adeguamento è sempre e solo verso il basso, verso la spoliazione di quello che universalmente costituiva la musica sacra, mormorano i più critici. Il rischio è quello di far passare il rockeggiare discotecaro come necessario per portare i giovani in chiesa al tempo d’oggi.

Conclusione: fare marketing per attrarre è ben diverso che rispondere all’accorato e sacrosanto appello di Francesco ad andare verso quelle periferie esistenziali non toccate dalla luce di Dio. E sostituire la pur brava suor Cristina Scuccia a Pierluigi da Palestrina non pare proprio essere la ricetta giusta. O no?


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