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Fincantieri, come mai la quotazione non è stata un successone?

La bottiglia di spumante per il varo della ”corazzata” Fincantieri sul mercato borsistico italiano è rimasta intatta.

La prima privatizzazione del governo Renzi non ha portato i risultati sperati, tanto che la quota di azioni vendute è stata ridotta di un terzo e il prezzo si è fermato sul livello minimo della forchetta scelta per la quotazione.

I finanzieri guardano con attenzione dove mettere i propri soldi e, anche se siamo convinti di essere diventati più affidabili, gli stranieri più che investire italiano preferiscono acquistare italiano e gestire direttamente.

A dimostrarlo è proprio la storia parallela della privatizzazione di Fincantieri e quella del pastificio campano Garofalo. Che squarcia il velo anche sugli imbellettamenti mediatici, sicuramente inevitabili, sulla capacità dell’attuale governo di attrarre investimenti senza se e senza ma.

“Gli stranieri guardano con interesse all’Italia”, è uno dei mantra ripetuto con ossessione nel breve spazio che va dal giuramento del governo Renzi ad oggi. Un periodo nel quale anche il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, non ha risparmiato energie nel girare le piazze finanziarie più importanti per illustrare il “prodotto Italia’’. E che forse hanno puntato più su Poste ed Enav i cui proventi serviranno a ridurre il debito pubblico italiano.

Ma, al momento concreto di mettere i soldi sul tappeto della roulette Italia, gli investitori più importanti sembrano essersi sciolti sotto il sole estivo. Hanno così tradito le aspettative al primo vero appuntamento con l’ Italia da comprare.

L’operazione Fincantieri prevedeva un collocamento da oltre 700 milioni di azioni. Si è ridotto a 450 milioni. Il prezzo è stato fissato a 0,75 euro per azioni, sul livello minimo della forchetta di annuncio della quotazione.

Il nodo? Fincantieri non è riuscita ad attrarre a sufficienza i capitali dei cosiddetti investitori istituzionali, cioè degli operatori più professionalizzati: i fondi, le società di investimento, le grandi banche, le società assicurative, le grandi holding finanziarie. Hanno guardato preoccupati a tre anni senza dividendo, preannunciati onestamente dalla Fincantieri, che utilizzerà l’aumento di capitale per rilanciare la società. Ma potrebbe non essere solo questo.

Eppure (Londra, 1 aprile 2014) il premier Renzi aveva sostenuto di aver incontrato nella capitale britannica ‘’grande, grande, grande interesse per l’Italia’’. Padoan gli aveva fatto eco poco dopo (Londra 30 aprile 2014) parlando, dopo aver visitato la City, di “entusiasmo” per le privatizzazioni. Una sensazione che sembrava essersi rafforzata dopo aver attraversato l’oceano e raggiunto l’altra grande piazza finanziaria (New York, 11 giugno 2014): ‘’Qui – aveva detto il ministro dell’Economia – ho trovato grande aspettativa sull’Italia, grande fiducia e grande voglia di investire’’.

Ma forse il governo (Padoan a Madrid, il 23 aprile 2013: “Gli investitori stranieri guardano all’Italia con grande interesse e attenzione’’) aveva parlato con gli spagnoli del gruppo Ebro. Loro, non sazi di aver comperato nel recente passato il Riso Scotti, ad inizio giugno hanno preso la maggioranza assoluta (il 52%) dell’ antico pastificio Lucio Garofalo, tra i leader del settore per il segmento dell’alta qualità. Ma a me, più che un investimento, è parso l’acquisizione senza se e senza ma di un piccolo pezzo d’Italia: la PASTA.

Chissà se i marchi italiani hanno mai osato tanto, acquistando a Madrid una società che produce paella.

(la versione integrale del post di Corrado Chiominto si può leggere sul suo blog Dentrolecose)


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