Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Alcune iniziative di Matteo Renzi non possono non essere apprezzate: così il tentativo di riformare uno Stato in evidente crisi costituzionale, così il chiedere ad Angela Merkel uno spazio per la crescita che la talvolta ottusa austerità made in Germany ha sinora negato.
Eppure anche chi non sottovaluta la positività di simili scelte, non può nascondersene una certa fragilità. La riforma del Senato è senza dubbio meglio dello status quo ma se si pensa che è centrata senza una riflessione su enti in evidente crisi come le Regioni trasformate in nuovi perni della Camera alta, si coglie un’arietta di provvisorietà non trascurabile: ben presente peraltro già nella pasticciata riforma delle Province compiuta senza l’espressione di un vero disegno su come si coordina un territorio. E analoga improvvisazione si coglie anche sulla questione della riforma della giustizia affrontata ora dal lato dell’inasprimento delle repressioni ora da quello della valutazione delle garanzie ma senza una logica unitaria discussa di fronte alla nazione.
Ugualmente tutta tattica, senza punti di riferimento né ideali né istituzionali, è la battaglia per l’Europa che potrebbe provocare persino un allontanamento della Gran Bretagna dall’Unione con incremento di un’egemonia tedesca chiaramente controproducente.
Al di là degli eventuali limiti del renzismo, l’Italia paga il fatto che una parte del suo sistema politico è stato smantellato innanzi tutto per via giudiziaria e questo determina un guasto democratico che si esprime sia in fenomeni di protesta sterile come quella grillina, sia in riformismi così affannati che per realizzarsi non devono spiegarsi. E tutto ciò provoca alla fina una guida, come è stato detto, essenzialmente dall’alto (e in non piccola parte dall’estero) del nostro stato.
Solo ricostruendo un sistema politico bilanciato si attenueranno questi pericoli. E questa consapevolezza, oltre al tradizionale fastidio per una sinistra che non riesce a non essere tassaiola e pervasiva, spingono persone come me ad accelerare lo sforzo per ricostruire un adeguatamente solido schieramento di centrodestra.
Proprio perché questo obiettivo è urgente, bisogna essere, poi, attenti alle iniziative che lo possono aiutare, governando le impazienze che potrebbero provocare nuove nocive rotture.
A mio avviso le tappe per la ricostruzione del centrodestra vanno individuate in tre concreti passaggi.
La prima è costituita dalle prossime regionali che porteranno alle urne nella primavera del 2015 più o meno la maggioranza del popolo italiano. Forza Italia ma anche la Lega Nord e Fratelli d’Italia si sono pronunciate per primarie che individuino i candidati presidenti da parte del centrodestra. A suo tempo per il Piemonte anche Ncd aveva espresso un orientamento simile. Si tratta di fissare entro novembre la costituzione di regole e comitati che promuovano e regolino primarie da tenere entro gennaio in modo da essere pronti per la immediatamente successiva campagna elettorale.
La seconda tappa è determinata dall’esistenza di un ampio “popolo”, costituito da forze, da intellettuali, da gruppi organizzati che si considera alternativo alla sinistra ma non si riconosce nei partiti esistenti: si tratta magari sfruttando la spinta di quella che è stata battezzata una “convenzione blu” di preparare per metà ottobre una conferenza dei soggetti e delle persone che vogliono contribuire a formare liste civiche di centrodestra per le regionali del 2015.
Una terza tappa è poi definibile intorno alle spinte che chiedono al centrodestra di darsi un programma, una tavola di valori e una cultura più solidi di quelli che si sono espressi in questi venti anni. Considero questa esigenza giusta ma credo sia opportuno evitare che movimentismi e generose ambizioni intellettuali invece di aiutare a ricostruire un articolato schieramento di centrodestra lo spingano verso nuove frantumazioni.
I paragoni con il “metodo Renzi” per guidare la sinistra prescindono dal fatto che nel suo caso esisteva un partito che raggruppa il 30/40 per cento dell’elettorato e che questo partito è sostenuto da parti essenziali dell’establishment italiano e straniero nonché da rilevanti settori dello stato. Non tenere conto di questa situazione può far correre il rischio di creare piuttosto confusione che quella nuova armonia che si vuole costruire.
Per ciò proporrei che oltre alle liste civiche che saranno una prima occasione di approfondimento anche culturale di programmi, si proceda a unificare il centrodestra su singoli temi su cui si può presumere di riunificare le forze esistenti, più che su piattaforme generali che creerebbero al momento troppe gelosie e divisioni; così si può fare creando comitati sia su grandi obiettivi nazionali (il presidenzialismo, un nuovo federalismo, una proposta per combattere corruzione e insieme giustizia politicizzata) sia su obiettivi molto particolari (comitati sì Tav o sì traforo della Milano-Genova).
I tempi sono molto stretti e le esigenze nazionali molto forti, non sarebbe male darsi da fare subito e in modo sufficientemente ordinato.