Meglio indebitare una società che rischiare come azionisti. Questa è la lezione dell’IPO di Fincantieri, in cui gli investitori retail hanno sottoscritto oltre il doppio della quota loro riservata, mentre i grandi investitori hanno disertato.
Grande nostalgia, in questi giorni, per le vecchie privatizzazioni, quelle del ’92-’94, quando i gioielli pubblici andavano via come il pane, dalle banche alle assicurazioni, dalle autostrade agli aeroporti. Quelli sì che erano bei tempi: si comprava tutto a prezzi di saldo, a rischio zero e lo Stato incassava ben poco. Erano tutti monopoli o quasi.
Stavolta, c’è stato qualcuno che ha preso sul serio il mercato e tutto il bel mondo che chiede un giorno sì e l’altro pure di continuare a scommettere sul lavoro italiano e sulla capacità delle sue imprese di riprendere a crescere e dare occupazione. Sono stati presi in parola tutti coloro che osannano l’economia reale e coprono di vituperio il mondo della finanza, quello che cerca il guadagno facile scommettendo sull’andamento dei corsi per arricchirsi.
E c’è chi l’ha voluto preparare davvero un piano industriale, in vista dello sbarco in Borsa di Fincantieri, con una IPO in cui il capitale privato raccolto sarebbe andato ad irrobustire la società emittente, senza essere incassato dall’azionista Cassa Depositi e Prestiti. Avrebbe visto ridursi la sua quota di proprietà, rimanendo azionista di maggioranza di una società quotata in Borsa, ancora più forte.
E’ arrivato così il momento della verità, la risposta ai proclami scanditi con parole alte e forti, già dimenticati non appena si conclude la consueta cerimonia fatta di flash, tweet e selfies.
La scommessa del management di Fincantieri era chiara, netta e senza possibilità di fraintendimenti: viene prima lo sviluppo industriale, la crescita produttiva, per essere sempre più competitivi, per continuare a costruire transatlantici, navi da guerra e piattaforme off-shore che andranno in giro per il mondo. Continuando a mettersi in gioco, ad armi pari, con i cantieri navali francesi, scandinavi, coreani e cinesi, partecipando ai bandi dei grandi gruppi armatoriali che cercano capacità realizzativa collaudata e tempestività nelle consegne. Già, proprio quella competizione internazionale di cui tanto si parla, quella dei committenti scrupolosi, delle gare senza trucchi e favoritismi.
E’ andata così, che gli investitori retail si sono mobilitati, sottoscrivendo più del doppio della quota messa loro a disposizione, mentre i cosiddetti grandi investitori istituzionali sono rimasti alla finestra.
Se Fincantieri ha davvero bisogno di soldi, non chieda di sottoscrivere aumenti di capitale: si indebiti, emetta obbligazioni, sottoscriva covenant ferrei. Si metta a disposizione dei bondisti, che diventeranno i veri padroni dell’azienda senza rischiare. E, se qualcosa non va, si possono sempre tagliare i salari e licenziare: questa è la legge ferrea del capitale dato a prestito.
Questo è il gioco della finanza: tenere le società sottocapitalizzate, così sono sempre alla ricerca di fondi per poter lavorare. Sempre con l’acqua alla gola, giorno dopo giorno: se servono soldi, si concedono prestiti a tassi elevati, molto apprezzati sul mercato. Chi non sta a questo gioco, rimane all’asciutto. Niente rischio d’impresa, per i capitalisti di pasta frolla.