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Da Berlusconi a Renzi, come è cambiata la leadership?

Da quando Matteo Renzi è stato scelto da Giorgio Napolitano come nuovo Presidente del Consiglio, ci siamo abituati a colpi di scena continui. Colpa di una politica in accelerazione (di Renzi) in contrasto con la prudenza che invece si richiede a chi deve prendere decisioni fondamentali (e per di più non urgenti) che producono effetti non preventivabili su tutti i cittadini, presenti e futuri. Un caso per tutti: le riforme costituzionali. Ma per capire ciò che accade oggi, dobbiamo fare un passo indietro e riflettere sul recente (comune) passato.

Guardandoci alle spalle, e allo specchio

La Politica degli ultimi venti anni è stata una vera e propria stagnazione dei valori. La bussola che doveva guidare le scelte dei politici era manomessa. L’indicatore segnava sempre “Silvio Berlusconi” come centro unico della vita sociale, economica e politica dell’Italia. Una gravissima degenerazione del senso etico della Politica e un progressivo e deprimente venir meno della capacità critica degli italiani (ad ognuno la propria responsabilità, basta coi buonismi). Ci siamo abituati a scelte del Leader (come Capo) senza alcun contraddittorio o senza alcuna discussione. Ci siamo abituati a credere che il Leader, poiché scelto dal Popolo (falso! perché siamo una Repubblica Parlamentare dove il Popolo dà la maggioranza ad un Partito o ad una coalizione e non ad un candidato), abbia il diritto, se non il dovere, di prendere decisioni a cui le minoranze devono, senza sé o ma, adeguarsi in modo ossequioso (falso! non è una democrazia, ma una oligarchia dispotica).

Siamo di fronte alla realizzazione della democrazia televisiva, quella basata su “annunci”, “colpi di scena”, “sequenze” brevi dove la sostanza delle decisioni e delle proposte passano in secondo piano rispetto alla “narrazione” (per giunta di bassa qualità) e alla “motivazione” (sempre più deprimente). In questa involuzione, il dissenso, che altro non è che il “proporre un’alternativa” su cui discutere, è in realtà descritto come “palude”, “freno” o un “giocare contro” o, in modo più pittoresco, e banale, un “gufare”. Come se le preoccupazioni dei più fossero quelle di fare dispetti al Leader di turno.

Questi sono gli effetti perversi del “berlusconismo” di cui tutti, da un lato coloro che ne erano ufficialmente parte, e che oggi se ne chiamano fuori; e dall’altro coloro che vi si sono opposti, ma senza trovare soluzioni o alternative valide, cavalcando l’onda dell’emotività negativa per creare consenso e antagonismo; sono co-responsabili.

La situazione attuale

Matteo Renzi non è Silvio Berlusconi. Sarebbe sciocco fare un paragone così grossolano, anzi una sovrapposizione. Quello che è invece indubbio è che Matteo Renzi sia una conseguenza comprensibile del ventennio berlusconiano.

Matteo Renzi è uno show-man. Dopotutto, lui desiderava fare il conduttore televisivo alla Mike Buongiorno. Diciamo che ci sta riuscendo: ha le telecamere tutte per sé, si compiace delle sue battute, cerca la risata facile tra gli “ascoltatori” e quindi cerca di creare il consenso sulla base della simpatia, cosa che contraddistingue, appunto, lo show-man dal politico. Quest’ultimo è certamente amante del pubblico, desideroso di essere “in vista”, ma punta alla creazione di un seguito di “fedeli” (la politica che fa proseliti, come le religioni) sulla base di valori, idee e proposte che mettono in risalto le sue specifiche competenze e capacità. Con un target che trascende questi suoi stessi obiettivi, direttamente o indirettamente perseguito: cambiare la realtà e lasciare il segno nella storia.

Matteo Renzi non ha fedeli né proseliti, perché non ha né valori né idee su cui fondare questo progetto. Renzi ha degli “spettarori” che gli rinnovano una “fiducia a breve termine” basata sulla capacità di “far sognare”, di “far dimenticare” le cose brutte e/o di “intrattenere” con evidenti segni di innovazione comunicativa. L’imitazione che Maurizio Crozza ne fa è calzante, anche se estrema.

Renzi è oltre Berlusconi.  Silvio Berlusconi manipolava la comunicazione per tornaconti personali concreti, suoi e della sua famiglia (le aziende di famiglia), un chiaro riferimento alla categoria antropologica e sociologica del “familismo amorale”. Matteo Renzi no, non ha interessi concreti economici o familiari, non è un familista è un one-man-show che mira solo ed esclusivamente all’auto-gratificazione e auto-celebrazione. Ogni cosa che propone, cerca di realizzare o inventare, non ha uno scopo esterno (lasciare il segno nella storia) per un bene pubblico, così come non ha uno scopo “familista”: vuole essere amato e ammirato. Il suo scopo è sé stesso.

La domanda con cui vorrei chiudere questa prima riflessione è: come si è venuta configurando questa idea di leadership? 

 [fine prima parte]


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